23 aprile 2010

Cina, in 10mila sottoposti a sterilizzazione

«Una misura punitiva per quanti hanno violato la legge del figlio unico»
di Luca Miele
La telefonata è arrivata nel cuore della notte mentre Zang Lizhao era fuori per lavoro. L’uomo si è precipitato a casa: sua moglie era sta­ta portata in una clinica «per essere sterilizzata». «Ho supplicato – ha rac­contato – i medici di attendere. Mi han­no risposto che non avrebbero aspet­tato un solo giorno». Zang, nonostan­te ciò che è accaduto, si ritiene fortu­nato: ha due figli, di 4 e 6 anni. Come al­tre 10mila persone è caduto nelle ma­glie rigidissime del­la pianificazione fa­miliare cinese.
Contea di Puning, provincia di Guangdong: una squadra di dottori – secondo quanto ha rac­contato il Times – sta passando al se­taccio la regione per raggiungere l’o­biettivo fissato dal governo, sterilizza­re – con la forza se necessario – quasi 10mila tra uomini e donne. La loro col­pa? Aver violato le politiche di con­trollo delle nascite, la legge in vigore dal 1979 per frenare la temuta cresci­ta demografica. Le autorità lo­cali sono pronte a ricorre ad ogni mezzo.
Compreso quello di imprigionare i pa­renti, persino i genitori, di chi si sottrae alla campagna di sterilizzazione, par­tita lo scorso 7 aprile e destinata a pro­trarsi per almeno 20 giorni. Non solo: secondo il The Southern Contryside Daily , circa 100 persone, per lo più an­ziani, sono stati rinchiusi in un centro di pianificazione familiare. Un funzio­nario addetto alla pianificazione ha detto al Times global che «non è raro per le autorità adottare tattiche così dure». Alle coppie con figli “illegali” e ai loro parenti vengono rifiutati i permessi di costruire. I bambini “illegali” sono esclu­si dalla registrazione di residenza, misura che nega loro l’accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione.
Le sterilizzazioni forzate sono solo un tassello di una politica che ruota attorno alla diktat del figlio unico. La dove essa non vengono praticate, si ricorre all’aborto. Cifre spaventose: secondo i dati ufficiali forniti dagli o­spedali cinesi, sarebbero 13 milioni gli aborti effettuati ogni anno. Alle stati­stiche ufficiali peraltro sfuggono le in­terruzione di gravidanza clandestine, praticate soprattutto nelle campagne. Pechino ha conteggiato qualcosa co­me 400 milioni di nascite impedite dal 1979, l’anno dell’entrata in vigore del­la legge. Una gigantesca macchina bu­rocratica vigila sulla sua applicazione. Secondo di Harry Wu, fondatore della Laogai Research Foundation, la Commissione statale per la po­polazione nazionale e la pianifi­cazione familiare impiega 520mi­la dipendenti a tempo pieno e ol­tre 82 milioni a tempo parziale. Le autorità arrivano a decidere, sulla base di dati burocratici, quanti bambini possono nascere ogni anno in ogni zona.
Una politica che ha prodotto uno sconvolgimento epocale della struttura sociale cinese, anni­chilendo la famiglia tradi­zionale, estesa, per sosti­tuirla con una “cellulare”.
Altrettanto dirompenti le conseguenze sociali. Per le Nazioni Unite nel 2050 il 30 per cento della popolazione cinese avrà 60 anni e gli “over 80” saranno cir­ca 100 milioni. La popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni diminuirà del 10 per cento. La Cina non ha un ve­ro sistema di welfare: all’immensa quantità di anziani dovranno provve­dere famiglie con un solo figlio.
A questo si aggiunge la sperequazione esistente tra maschi e femmine, que­st’ultime più spesso vittime degli a­borti selettivi: secondo AsiaNews in Ci­na nascono circa 119 maschi per 100 femmine. Persino l’esercito non è im­mune da questo terremoto sociale. Nel 1998 Pechino ha ridotto a due anni la leva obbligatoria, proprio per limitare le pressioni su nuclei familiari sempre più fragili. Problema non da poco per la macchina bellica cinese: molti mi­litari lasciano l’esercito per cercare im­pieghi più redditizi e mantenere così gli anziani genitori.
«Avvenire» del 23 aprile 2010

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