26 aprile 2010

"Gli alieni esistono, stiamo alla larga"

Il professor Stephen Hawking: "Gli extraterrestri sono attorno a noi. Ma il contatto con loro sarebbe disastroso per la razza umana. Non resta quindi che evitarli"
di Vittorio Macioce
Verdi, minuscoli, titanici, spore, con le antennine, come candele nel vento, umanoidi, lucertoloni, deiformi, omerici, con il dito che chiama telefono casa, con la testa ovale e gli occhi a mandorla, ariani, etabetici, invisibili, alghe, marziani, e Joseph K. un giorno si ritrovò trasformato in uno scarafaggio, venusiani, con le orecchie a punta, parassiti, stilizzati, angeli o demoni, con la testa di gatto, con il tuo stesso sguardo, esattamente come te, identici. Insomma, semplicemente alieni.
È una vita che l’uomo sta qui, su questa terra, a cercare d’immaginarlo. Lui, l’altro, quello che viene da lontano, simile o diverso, fratello o bastardo, quello che non ci fa sentire soli, quello che ci fa paura, quello che magari c’è, ma finora si è nascosto bene. Lui, l’ultraumano, l’extraterrestre, il bambino che da piccolo cercavi oltre lo specchio, il disco volante non identificato, quella striscia luminosa che si muove veloce nel cielo e certe notti di agosto t’incanta e non sai mai se è un aereo, un satellite, una stella cadente o un Ufo. Lui, quello che forse ha costruito le piramidi, che guarda dall’alto le pietre di Stonehenge, che ha aperto una ambasciata in Nevada, sulla statale 375, in quella che gli umani chiamano Area 51. Lui, quello di 2001 Odissea nello spazio, di Star Trek, di Alien, Visitors, Indipendence Day, quello di Goldrake contro Mazinga, quello che Astolfo non incontra sulla luna, quelli che non c’erano quando Armstrong e Aldrin hanno fatto un piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per l’umanità. Quelli che se esistono sono senza dubbio più intelligente di noi.
L’uomo, dicono le sacre scritture, è il centro dell’universo, il guaio è che non sappiamo cosa ne pensino gli altri. Noi, poveri cristi, possiamo solo immaginare. La scienza non ci dà certezze, ma solo numeri, ipotesi e possibilità. Non lo sa nessuno, neppure i geni. Ma loro giocano sulle probabilità. C’è vita oltre la Terra? Se lo chiedete a Sthephen Hawking, 68 anni, matematico e fisico, un quoziente intellettivo di 160, un’atrofia muscolare che ha alterato la sua voce e le sue gambe, fino a un anno fa titolare della cattedra che fu di Newton a Cambridge, la sua risposta è questa: «Gli alieni? Certo che esistono, è quasi sicuro». Come sono fatti? Dal microbo al bipede intelligente tutto è possibile. Ma di una cosa Hawking è convinto: «Meglio evitarli. Il contatto sarebbe disastroso per la razza umana». Qualcuno si stupisce. Questi vengono qui dall’ultraspazio e sono pure cattivi? Che menagramo Hawking.
Non è sfiga. È logica. Quali sono i motivi che spingono gli organismi viventi a farsi un viaggio lungo quasi come l’eternità? Perché uno esce di casa e va a finire dall’altra parte dell’universo? Per fame, per curiosità o per amore. Gli ottimisti ti diranno che è per amore. Quelli che vedono il bicchiere a metà, agnostici, diranno per curiosità (e poi si vede se mangiano o amano). I pessimisti pensano subito alla fame.
Hawking è pessimista. Non si fida. Saranno alieni, ma è probabile che si comportino esattamente come gli uomini. Una civiltà evoluta non è sinonimo di bontà. La morale non segue la tecnologia. Non sempre, per smentire Spider Man, grandi poteri comportano grandi responsabilità. Non è detto che gli alieni abbiano la statura etica dei supereroi della Marvel. È più facile che assomiglino agli dei di Omero. Zeus, Ares, Atena e tutto l’Olimpo erano una gran banda di stronzi. Ettore docet.
Hawking non vuole fare come Montezuma, che scambiò il biondo Hernán Cortés per il dio azteco Quetzalcoatl. Tutti sanno come andò a finire. Eccolo allora l’extraterrestre di Hawking. Non ci vuole tanto a immaginarlo. Non l’estetica, ma la sua morale. Arriva con 11 navi e 508 soldati. Se ne va in giro con una corazza di metallo e un archibugio che spara fulmini e saette. I «terrestri» gli offrono la pace e lui risponde che vuole l’oro. Quelli pregano e i suoi sacerdoti vogliono convertirli alla loro religione. Pentitevi e battezzatevi. I suoi soldati sono l’arma più letale. Basta che respirano fanno danni. Ogni virus è una condanna a morte. I terrestri di Montezuma non hanno anticorpi. Il nuovo dio si fa strada a colpi di vaiolo. Gli extraterrestri che arrivano dal mare sono lì per la fame. La loro terra ha esaurito le risorse e loro hanno bisogno di colonie da sfruttare. Gli alieni sono «conquistadores».
Si viaggia per colonizzare. Lo racconta in 3D anche Pandora. Lo sostengono tutti gli scienziati con il pallino della fantascienza. Lo dice La guerra dei mondi di H. G. Wells. Lo ricorda A. C. Clarke ne La sentinella. Lo afferma un altro scienziato, quel Fred Hoyle di A come Andromeda. Forse siamo animali da laboratorio, in questa terra che è un provetta, inseminati, come teorizzava il premio Nobel Francis Crick, da spore portate qui da qualche civiltà superiore. Siamo un’ipotesi metafisica.
Magari nulla di tutto questo. Nel 1961 l’astrofisico Frank Drake scrisse un’equazione che, una volta risolta, permetterebbe di avere una stima attendibile di quante altre civiltà condividono questo strano condominio chiamato universo. La formula matematica è complessa, ma si può riassumere con due notizie: una buona e una cattiva. La buona (o la cattiva) è che esistono miriadi di civiltà extraterrestri, più o meno quante sono le galassie. Insomma, gli alieni esistono. La cattiva (o la buona) è che sono tutti morti.
«Il Giornale» del 26 aprile 2010

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