26 aprile 2010

Generosità batte Stato assistenziale

Desta scalpore la donazione dell’imprenditore di Adro. In un Paese anglosassone sarebbe cosa ordinaria. Ma un regime di welfare come il nostro, esteso benché insufficiente, scoraggia il gesto dei singoli benefattori
di Carlo Lottieri
Hanno fatto molto discutere alcuni recenti episodi (in Veneto, Lombardia e Liguria) in cui amministrazioni locali di diverso colore - leghiste, ma anche di sinistra - hanno deciso di discriminare in merito al servizio della mensa gli alunni «insolventi», e questo al fine di mettere su un piano di parità chi rispetta le regole e chi non lo fa. Ma ha suscitato notevole attenzione pure il comportamento di quell’imprenditore di Adro che, scegliendo di restare anonimo, ha voluto chiudere l’intera vicenda riguardante il suo paese, complessivamente non edificante, mettendo mano al portafoglio. Il clamore sollevato da quel gesto si spiega, dato che la generosità personale appare una virtù di altri tempi: che sorprende e obbliga a riflettere.
Sulla virtù che contraddistingue chi sa prendersi cura del prossimo e sul rapporto tra generosità e società libera è uscito in questo giorni un piccolo volume del filosofo americano Tibor Machan (Generosità. Virtù civile, edito da Liberilibri e in vendita a 16 euro), che nel testo riformula la prospettiva morale aristotelica e in particolare invita a riconsiderare il nesso tra libertà e responsabilità.
Significativamente influenzato dalla lezione della filosofa e romanziera Ayn Rand, Machan insieme insiste molto sul fatto che è impossibile essere generosi in un universo collettivista e socialista, poiché per ovvie ragioni la generosità implica la proprietà privata. Posso dimostrare di essere disposto ad andare in soccorso degli altri se qualcosa è riconosciuto come «mio» e se quindi posso destinarlo al prossimo. In altri termini, si dà solo quello che si possiede e la vedova del Vangelo di san Marco che getta due semplici monetine nel tesoro del Tempio, compie quel gesto in virtù del fatto che quella modesta somma comunque è sua.
C’è anche un’evidenza sociologica che dovrebbe essere tenuta in considerazione, e cioè che quanto più cresce il solidarismo di Stato (redistribuzione, welfare, assistenzialismo), tanto più declina la disponibilità dei singoli ad andare in soccorso - con senso di responsabilità - di chi ha più bisogno. È anche per questo motivo che il gesto dell’imprenditore bresciano sorprende. Tutti coloro che hanno studiato in termini comparativi la rete della generosità spontanea in America e in Europa hanno dovuto constatare come nel Vecchio continente prevalga l’individualismo malato di chi si vede sottrarre dallo Stato circa il 50 per cento della propria ricchezza e quindi, anche per questo motivo, non ha intenzione di preoccuparsi degli altri.
Nelle società statizzate di un’Europa che ha visto trionfare ogni forma di fascismo, comunismo e socialdemocrazia, non soltanto è spesso venuta meno la disponibilità ad aiutare. È perfino cambiata la logica. Come rilevava spesso un pensatore inglese scomparso nei giorni scorsi, Anthony Flew, la generosità dei Buoni Samaritani che si prendono cura di chi ha bisogno è stata sostituita dall’ideologia dei Procustiani, che perseguono il falso ideale dell’eguaglianza anche se esso comporta una rivolta contro la realtà e un progetto che mira a distruggere le basi stesse della convivenza civile.
Non a caso per decenni - ma ora le cose sono in parte cambiate - perfino la carità è stata messa sul banco degli imputati. Soprattutto in una certa cultura progressista a lungo è stata radicata l’idea che nulla deve discendere dal cuore e dalla nobiltà d’animo, poiché tutto ci è dovuto per diritto. In una società socialista, ci siamo spesso sentiti dire, non è ammissibile che qualcuno debba essere generoso, poiché questo segnalerebbe una défaillance del meccanismo redistributivo. Il disprezzo, che in parte perdura, nei riguardi dell’antica pratica dell’elemosina discende da qui.
Aveva già compreso tutto Oscar Wilde. In uno scritto del 1891 (L’anima dell’uomo sotto il socialismo), che suona paradossale ma che in realtà coglie un problema vero, lo scrittore irlandese afferma che entro una società capitalista si è costantemente costretti a farsi carico degli altri, poiché manca una soluzione definitiva e centralizzata ai problemi sociali. Ma Wilde non vuole che le vite degli altri lo disturbino ed è per questo che, da egocentrico radicale, propugna un socialismo tutto suo, quale premessa a un individualismo in grado di convertirsi in egoismo assoluto, cura del proprio Io e di null’altro, compiuta indifferenza verso il prossimo.
A ben guardare, quel programma socialista si è affermato solo a metà. Nel corso del Novecento lo Stato si è effettivamente fatto carico dei problemi maggiori e ha liberato tutti noi da ogni incombenza: fino al punto, come rileva Machan, da rendere quasi impossibile una vera vita morale. Questo però non ha condotto al superamento delle maggiori infermità, che certo non possono essere risolte da programmi redistributivi e apparati burocratici. Le mancanze più gravi (dalla solitudine alla sofferenza, dalla malattia alla disperazione) spesso possono essere affrontate da logiche del tutto estranee all’ingegnerismo sociale dei sistemi welfaristici. Nell’atto di generosità personale con cui Martino di Tours spezza il proprio mantello e lo condivide con un mendicante non c’è solo, per la persona soccorsa, la disponibilità di un bene che gli è utile: e quindi una riduzione della propria indigenza. C’è anche e soprattutto una relazione personale, insieme alla scoperta di vivere in un mondo migliore.
Tutto questo, nessun ministro e nessun assessore possono darlo. Un imprenditore generoso, sì.
«Il Giornale» del 26 aprile 2010

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