24 aprile 2010

D’Annunzio e Pascoli: greci o cristiani?

Esce in libreria una nuova edizione dei Poemi convi­viali di Pascoli curata da Maria Belponer (Rizzoli).
di Pietro Gibellini
Anticipiamo qui un passo dalla prefazione di Pietro Gibellini, centrata sul confronto Pascoli-D’Annunzio
Che alla mèta di un’arte nuova e antica i due scrit­tori aspirassero per vie diverse si ricava dalle due poetiche. Quella del più pensoso Pascoli è affi­data alla prosa del Fanciullino (1897). Raccogliendo stimoli dell’amico Angelo Conti, Pascoli riprendeva l’immagine già classica del dèmone interiore che ispira il canto, costruendo il concet­to dell’eterno fanciullo che abita dentro il poeta dandogli lo sguardo vergine che rende in­cantevole e com­movente la realtà quotidiana e fa grandi anche le cose piccole. Ma attraverso l’a­mato Leopardi, e le sue radici vichiane, Pasco­li sa che, ritro­vando in sé l’e­terno fanciulli­no, ritrova l’ani­mo della Grecia antica, mitopoie­tica fanciullezza dell’umanità: e la prosa termina ap­punto con l’immagi­ne antica del cieco O­mero condotto per mano dal fanciullo. Obbedendo al suo istinto di verseggiatore, D’Annunzio formula invece la sua poetica nelle ballate di un componimento di Alcyone. Ideale risposta al Fanciullino, il Fanciullo alcyonio (1902) è il testo che meglio compendia il senso dell’intero poema: il deus puer tutto interiore si oggettiva in una divinità adole­scente che ha i tipici tratti di Ermete (ma anche di Or­feo e di Pan) e che col suo flauto interpreta l’ambizione onnivora del poeta, cantore di ogni genere (lirico, epi­co, didattico) e di ogni stile e motivo (natura ed arte, luce ed ombra, anche se la parte solare dòmina in Alcyone e l’altra, qui solo sfiorata, caratterizzerà la tar­da stagione, dalla prosa poetica del Notturno in poi).
Alla fine fugge alla vista del poeta: tornerà forse il «nu­do fanciul pagano», ma dopo aver lasciato il flauto per por mano all’arco. In effetti la vera immersione nella classicità non avviene nell’itinerario turistico e archeo­logico di Maia, ma nell’ebbrezza di Alcyone, dove la mitopoiesi si fa visione, e il diario dell’estate marina diventa immersione nel mito, dove la compagna di u­na passeggiata prende figura di Ermione, e una caval­cata trasforma il poeta in centauro. La «mammella an­tica » cui si dice abbeverato il poeta di Alcyone gli fa tra­vestire miticamente l’hic et nunc, gli fa guardare l’oggi da una remota antichità in cui tutto è fabula, traduzio­ne latina di mythos: «la favola bella / che ieri / m’illuse, che oggi t’illude». Della civiltà greca resta, dunque, l’immaginario: poche o punte le reminiscenze storiche o letterarie (ché tra le fonti prevalgono semmai Ovidio e Régnier).
E, a sua volta, non è forse una risposta al Fanciullo, o ai tre libri delle Laudi, la prefazione ai Conviviali? Il verso virgiliano «nonnullos arbusta iuvant humilesque myri­cae », già utilizzato per il titolo della raccolta d’esordio, offre il suo primo emistichio per l’epigrafe dei Convi­viali; arbusti maggiori delle tamerici, dunque poemetti diversi per estensione e tono dalle Myricae, ma pur sempre lontani dalla poetica del grande e dell’alto che trionfa nelle Laudi, nel poeta attratto da­gli alberi dai no­mi poco usati ­bossi, ligustri, a­canti - cui Mon­tale opporrà, pascoliana­mente, i suoi gialli e sempreverdi Limoni.
Sicché anche la scelta del bic­chiere in luogo dell’ànfora pro­fessata nel proe­mio appare, anco­ra una volta, una presa di distanza dal Vate abruzzese, specie là dove afferma che l’a­vidità spinge gli uomini a lottare condannando tutti alla sete: un assunto sviluppato nei versi del Poeta degli I­loti, che appare un chiaro controcanto al superomi­smo guerresco di Maia (e alla preconizzata conversio­ne del Fanciullo dal flauto all’arco, programma del fu­turo passaggio dal ruolo di Imaginifico a quello di Poe­ta- soldato). E assumendosi la taccia di arcade, Pascoli ricorda certo i versi del Commiato alcyonio nel quale Gabriele lo immaginava assorto nella lettura delle Georgiche o delle vicende del pius Enea, guerriero suo malgrado. Sottesa, c’è l’implicita precisazione del suo esser «figlio di Virgilio»: un grande ideale non solo campestre, ma irenico e pre-cristiano. Non per questo egli si sente meno «figlio degli Elleni»: i suoi Conviviali attraversano la civiltà greca dai primordi omerici fino all’ellenismo e all’incipiente cristianesimo; e Pascoli sa che quei Poemi (come i paralleli studi danteschi di Mi­nerva oscura) sopravviveranno al loro autore.
Giovanni Pascoli, POEMI CONVIVIALI, Rizzoli, pp. 376, € 7,50
«Avvenire» del 24 aprile 2010

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