22 aprile 2010

A chi piace far soffrire le donne?

di Tommaso Gomez
Povera Isabella! Lei magari non legge né Avvenire né il Foglio, ma noi leggiamo lei. Giovedì scorso, singolare coincidenza, sia noi di 'è vita' sia Francesco Agnoli sul Foglio ci accorgiamo delle «scemenze» – espressione di Agnoli! – scritte sul Corriere a proposito della Ru486 che garantirebbe un aborto senza dolore, mentre i perfidi cattolici esigono che la donna soffra sotto i ferri del chirurgo.
Roba da bassa letteratura anticlericale ottocentesca. Agnoli puntigliosamente sfoggia una girandola di studi scientifici e fonti autorevoli e giunge alla conclusioni «politiche»: «Allora, una volta appurato che l’aborto soft e indolore con la pillola è una sciocchezza, e l’accusa di un desiderio di fare soffrire le donne è una scemenza, rimangono i fatti. L’aborto chimico è uno strumento che consente ai medici abortisti di trasferire parte del carico di lavoro e del possibile stress al personale infermieristico (…). Con la Ru486 i radicali hanno un fenomenale strumento per abbattere i pur esilissimi limiti all’aborto previsti dalla legge 194 e realizzare così quello che non riuscirono a fare col loro referendum del 1981. Il cerchio si chiude: dall’aborto con la pompa in villetta, a quello in ospedale, per giungere a quello in ambulatorio e da qui spingersi al kit da portarsi a casa, completo di compresse, istruzioni e numero del call center per chiedere aiuto in caso di emorragia. Sempre che si arrivi in tempo…». Apocalittico Agnoli? E pensare che lo stesso giorno sulla Stampa usciva questa istruttiva notizia: «Sull’American Journal of obstetrics and gynecology è apparso uno studio sull’uso una volta al mese della Ru486 come contraccettivo». I vantaggi?
Ma sono evidenti: una pillola al mese, «al sedicesimo giorno del ciclo, due giorni dopo l’ovulazione», anziché una al giorno, «e l’eventuale concepimento ritarda o inibisce l’ovulazione e quindi la formazione di un embrione. Non vengono citati effetti collaterali. Lo si considera un metodo contraccettivo 'facile da usare' e 'sicuro'». Saremmo curiosi di sentire il parere di Silvio Viale, che sul Fatto Quotidiano (16 aprile) ribadisce il suo credo: «Se non ci sono controindicazioni a trattenere le donne, ciascuna di loro potrà assumersi la responsabilità di lasciare l’ospedale».
Traduzione: le inviteremo a tornarsene a casa noi per primi. «Ed è quanto – scrive Stefano Caselli – più frequentemente accade: 'In Toscana, ricorda Viale, dove il protocollo prevede il ricovero ordinario, nessuna paziente è mai rimasta ricoverata'». E all’ospedale Niguarda di Milano, dove Repubblica del 20 aprile, cronaca di Milano, racconta del primo aborto farmacologico, avvenuto lunedì 19? La paziente è rimasta in ospedale, ma forse soltanto perché veniva da fuori regione. Sulla sicurezza ed efficacia della Ru486 così si esprime il primario Mario Meroni: «Nel 5 per cento dei casi l’espulsione del feto avviene già il giorno successivo all’assunzione della pillola. Se così non sarà, mercoledì procederemo alla somministrazione di prostaglandina in ovuli e possiamo attendere l’espulsione nel 60 per cento dei casi». Se abbiamo capito bene, per Meroni tutto fila liscio in due casi su tre. E se la donna è sfortunata? «Se si supera invece il quarto giorno si rifarà il punto o, in caso, offriremo alla paziente l’opportunità di sottoporsi a un secondo ciclo di ovuli oppure, per accelerare i tempi, di optare per l’aborto chirurgico». Quel che si dice un metodo infallibile, indolore e antistress.
«Avvenire» del 22 aprile 2010

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