23 aprile 2010

Asia, il continente dove essere donna a volte è una colpa

In India sono «scomparse» 25milioni di femmine: per il premio Nobel per l’Economia Amartiya Sen si tratta di «un dramma nazionale»
di Stefano Vecchia
Un gran numero di con­traddizioni accompa­gna il cammino dell’A­sia, continente che cerca di su­perare le disparità economi­che ma che nelle pieghe del suo sviluppo conserva tradi­zioni e discriminazioni tenaci. Poche sono drammatiche co­me la scomparsa stimata di 96 milioni di donne in Cina e In- dia, in maggioranza, morte per cure mediche discriminatorie o per abbandono oppure eli­minate prima della nascita.
Un risultato è lo sbilancia­mento dei sessi, con la netta predominanza dei maschi e con gravi effetti demografici nel prossimo futuro. L’altro un’accelerazione dello sgreto­lamento dell’istituzione fami­liare e di conseguenza un’ipo­teca sul futuro delle società.
Per Anuradha Rajivan – che ha guidato lo staff responsabile del Rapporto sullo sviluppo u­mano nella regione Asia-Paci­fico del Programma per lo svi­luppo delle Nazioni Unite (Undp) rilasciato lo scorso 8 marzo – non è solo l’infantici­dio infantile ma l’aborto delle bambine prima della nascita ad essere responsabile delle troppe figlie dell’Asia che man­cano drammaticamente dalla contabilità dei censimenti. «U­na situazione che contrasta con il costante miglioramento della speranza di vita delle femmine alla nascita e con u­na migliore educazione», dice la dottoressa Rajivan.
Una questione trasversale al continente più popoloso del mondo che riguarda soprat­tutto aree culturali o­mogenee. La prima di cultura confucia­na, dove il colosso ci­nese ha avuto per molti anni nella pia­nificazione demografica in­centrata sulla politica del figlio unico e oggi una relativa libertà di interruzione della gravidan­za, un cardine del controllo i­stituzionale sulla popolazione e sull’economia, ma con un ruolo consolidato della svilup­pata e liberista Corea del Sud. In quest’area estremo-orien­tale, dove vi sono 119 maschi nati contro 100 femmine, il ruolo subordinato della don­na è scritto nelle regole, nella morale ma soprattutto nell’as­servimento alla esigenze fami­liari e dinastiche più che in u­na lettura più o meno fedele della tradizioni socio-religiosa com’è invece il caso dell’Asia meridionale, dominata dal­l’India. In questa regione, in passato colpita da politiche demografiche repressive ma li­mitate nel tempo e nell’esten­sione, dove ora la determina­zione prenatale del sesso è possibile anche nei villaggi e utilizzata con disinvoltura nei grandi centri urbani, si evi­denziano anche profonde discrimina­zioni in termini di ac­cesso a cure, istruzio­ne, impieghi.
Per il censimento del 2001, sono 99,3 le femmine per ogni 100 maschi, una rappor­to che va divaricandosi secon­do le stime. Una situazione che ha fatto dire al premio Nobel per l’Economia Amartiya Sen che la scomparsa di 25 milio­ni di donne in India rappre­senta «un dramma nazionale di cui qualcuno dovrà prima o poi rendere conto».
Molto più distanziati rispetto a questi fenomeni, sono i Paesi di tradizione musulmana e li­mitazione delle nascite “al femminile” è di scarso peso nelle cattoliche Filippine, do­ve è però rovente il dibattito sul disegno di legge che con­sentirebbe l’aborto terapeuti­co, oltre all’uso di anticonce­zionali sotto controllo medico. Il fatto che questo si scontri so­vente con legislazioni sulla car­ta ugualitarie e favorevoli ai settori tradizionalmente più deboli della popolazione ag­grava la situazione in quanto la loro inefficacia pratica impe­disce ogni ulteriore rivendica­zione.
Potere economico, partecipa­zione politica e tutela legale so­no le armi con cui le donne cercano di confrontarsi con le discriminazioni, ma la man­canza di tutela per le non na­te resta un dato drammatico e, sia nell’estremo Oriente, sia nel Subcontinente indiano, ag­gravato da materialismo, di­sinteresse, crisi dell’etica.
«Avvenire» del 23 aprile 2010

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