26 marzo 2010

Se Shakespeare e Cervantes vanno al reality

di Alessandro Zaccuri
Il miglior fermo immagine del più grande reality letterario di tutti i tempi precede abbondantemente l’invenzione della tv. È 'Le coin de table' di Fantin-Latour, il dipinto del 1872 che chiama a raccolta poeti e aspiranti poeti della Francia simbolista. C’è Verlaine, c’è Rimbaud, ci sono tanti altri che famosi non sono diventati o che almeno non lo sono più. Sono gli stessi anni in cui i fratelli de Goncourt, con il loro 'Journal', offrono un ritratto minuzioso e spietato del mondo delle lettere transalpino, roba da far impallidire il più spregiudicato resoconto dei reality nostrani.
Del resto, anche quando capita di sbirciare dietro le quinte del gruppo di Bloomsbury o di ripercorrere le rievocazioni della leggendaria Parigi anni Venti, ci si ritrova spesso a desiderare che le conversazioni tra il giovane Hemingway e l’imperscrutabile Gertrude Stein si siano svolte a favore di telecamera, sia pure nascosta. Insomma, non è una cattiva idea questa di applicare il format neotelevisivo per eccellenza - quello del reality, da intendersi nella specifica variante del talent show - al mestiere che almeno in teoria dovrebbe essere il più lontano dalle logiche del piccolo schermo. Anche perché 'La fattoria degli scrittori' (questo il nome del progetto varato da 80144 Edizioni, Oblique Studio e minimum fax) è in effetti un corso residenziale in cui, agli inizi di giugno, una decina di autori tirocinanti si confronteranno per una settimana tra di loro e con i meccanismi dell’editoria. Che i tempi fossero maturi per un esperimento del genere lo annunciavano ormai diversi segnali. Alcuni talmente evidenti da risultare stucchevoli (Aldo Busi all’'Isola dei famosi', vogliamo parlarne?), altri più raffinati sul piano della riflessione critica, come la provocazione di Massimo Onofri sulla nascita del 'reality novel', frontiera estrema della cosiddetta auto-fiction, forma di narrazione post-postmoderna in cui l’autore mette in scena se stesso nelle vesti di personaggio. Definizioni a parte, è quello che la letteratura ha sempre fatto, saccheggiando il materiale della vita reale per trasformarlo in materia da romanzo, da ballata, magari addirittura da poema epico. Una tradizione più che millenaria (leggete tra le righe dell’'Iliade' e vedrete se Omero non anticipa malizie da conduttore consumato), alla quale lo stratagemma della 'Fattoria degli scrittori' aggiunge il sempre più richiesto ingrediente didattico: a essere scrittori si impara, è risaputo, e visto che si tratta di un mestiere solitario non c’è niente di male se lo si impara in comitiva.
Senza nulla togliere ai magnifici dieci che tra un paio di mesi si rintaneranno in un agriturismo del Cilento, però, lasciateci dire che, considerato che in un reality il casting è tutto, lo spettacolo che avremmo voluto spiare sarebbe stato quello della gara di bravura tra l’intemperante Marlowe, il corrusco Kid e l’incontenibile Shakespeare, con un’eventuale comparsata di Cervantes che dal 'Gran Escritor' spagnolo si intrufola nel 'Big Writer' inglese. Altri autori, altri tempi e, tutto sommato, altra tv.
«Avvenire» del 26 marzo 2010

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