07 marzo 2010

Noi, «audaci» domatori di fiamme

Dalle comunità primitive ai più raffinati intellettuali: il fascino di un elemento che ha sedotto l'umanità
di Giulio Giorello
Imprigionando le faville abbiamo inventato l'economia e l'alta cucina
«S'i' fosse foco, arderei 'l mondo»: diceva il senese Cecco Angiolieri, esule, criminale e ribelle. Defunto nel 1312 (o al principio del 1313), aveva lasciato 150 sonetti e cinque figli, i quali rinunziarono all'eredità paterna che consisteva soprattutto di debiti. Il fuoco, per il poeta, era sinonimo di un' apocalisse casalinga, un ardore che avrebbe dovuto spazzare via anzitutto i nemici personali (ne aveva molti), e solo dopo l'intera umanità, fatta eccezione per le belle donne, che il nostro eroe non disdegnava. Ma il fuoco, come la verità, ha più di una faccia. Si racconta che alcuni ospiti si fossero avvicinati al sapiente Eraclito (VI-V secolo a.C.), chiuso nella sua dimora a riscaldarsi accanto alla stufa. Lui «li invitò a entrare senza timore», poiché - disse - «anche là vi erano gli dei». In pieno Seicento, Cartesio ricorderà che l'ispirazione geometrica si ravvivava per lui quando stava accanto al caminetto, in tempo di guerra, magari con il gatto accoccolato sulle ginocchia. E infine, tra le fiamme può comparire la divinità: per Mosè Dio si manifesta nel roveto ardente, e per i Greci Dioniso fanciullo muore dilaniato dai Titani per essere riportato a nuova vita da Zeus, mentre dal fumo delle sue carni, cucinate da quegli odiosi giganti, sarebbero nati i mortali. E Dioniso è il «portatore di fiaccola», celebrato nelle piazze delle città della Grecia. Le sue sacerdotesse - le Baccanti - sono capaci di attizzare un fuoco che sormonta la loro testa: come ci racconta Euripide, è una sfida all' autorità costituita, al tempo stesso sovversione delle consuetudini della società civile ed espressione di una follia che è distruzione ma anche creazione. E se Ebrei e Greci celebravano la vita del fuoco, noi potremmo essere tentati, come ha fatto il chimico e biologo Erwin Chargaff, di tradurre la parola fuoco con energia e ritrovare il segno di Eraclito nei «mille soli» delle esplosioni nucleari... Potremmo essere noi esseri umani a innescare la Fine del Mondo! Come ha avuto modo di osservare (1756) Immanuel Kant: «Dal Prometeo dei tempi moderni, il signor Franklin, che vorrebbe combattere il fulmine, fino a colui che vuole spegnere il fuoco nella fucina di un vulcano, simili sforzi sono tutte prove dell' audacia dell' uomo». Il pensatore tedesco, sconvolto dal disastro di Lisbona (1755), metteva in guardia contro gli eccessi dell'orgoglio tecnologico, che rischia poi di dimostrarsi impotente di fronte alla vendetta della natura. Resta però il fatto che tra tutti gli animali solo l'Homo sapiens sembra capace di «quell'audacia» che fa del fuoco uno strumento di civilizzazione. Le altre fiere talvolta si riscaldano nei pressi della fiamma, ma non la racchiudono in stufe, non mangiano cibi cotti, non costruiscono altiforni o centrali elettriche, e nemmeno... un parafulmine! È l'aver addomesticato anche il fuoco (e non solo il gatto, il cane o il bue) che ha segnato l'inizio della nostra economia. Guardiamo con rispetto alle caverne, in cui i cosiddetti primitivi (in realtà i nostri antenati) non solo cercavano riparo, ma facevano già... dell'alta cucina, in un processo di nutrizione che era anche di socializzazione. Il fuoco, dunque, porta in sé i germi della contraddittorietà, celati nelle applicazioni tecniche: la ceramica e l'arte dei metalli, le tecnologie di riscaldamento e d'illuminazione, la produzione del vetro e l'impiego del fuoco come arma di guerra, per non dire della pirotecnia (cioè i fuochi d'artificio, che ci vengono dalla Cina) sono tappe di un millenario cammino, che ha cambiato non solo le nostre modalità di esistenza ma anche le categorie con cui interpretiamo natura e cultura. Non dimentichiamo la «fiamma del peccato»: non tanto quello di lussuria, magari reinventato da Hollywood, bensì quello di superbia, che consiste nello sfruttamento sempre più intensivo delle risorse della Terra. Non è che stiamo davvero «bruciando» il nostro Globo come tanti piccoli Cecco Angiolieri? La risposta a questa crisi del fuoco è il fuoco stesso: fuor di metafora, ai mali della civiltà si risponde non con meno, ma con più scienza. La quale è come la fiamma che affascinava Eraclito: «si riposa muovendo».
«Corriere della Sera» del 6 marzo 2010

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