12 marzo 2010

Ma l’Italia non nacque «contro» la Chiesa

Per lo storico Francesco Traniello «è sbagliato leggere moventi anticattolici nel processo risorgimentale»
di Giovanni Grasso
«Credo innanzitutto che dobbiamo operare u­na distinzione impor­tante tra il processo che ha portato all’Unità d’Italia a cui diamo nome di Risorgimento, e il periodo suc­cessivo, ovvero i primi passi dello Stato nazionale italiano: altrimenti c’è il rischio di qualche confusione a livello storico». Francesco Traniel­lo, ordinario di Storia contempora­nea a Torino e uno dei maggiori storici di area cattolica, mette in guardia su ricostruzioni, «peraltro legittime», sul Risorgimento, ma il cui fine «sembra essere in preva­lenza quello della polemica politica da spendere nell’attualità».
Professor Traniello, lei non è d’ac­cordo con chi dice che l’Unità d’I­talia è stato fatto senza o contro i cattolici italiani?
«Non vorrei sembrare paradossale, ma ho una certa difficoltà a indivi­duare una categoria che possa defi­nire, con caratteri sicuri e omoge­nei, la galassia dei “cattolici” italia­ni prima del 1870. Esistono il papa­to, la Chiesa ufficiale e il clero, spar­so nel territorio della Penisola ma che presenta caratteri molto diver­si, come notava già acutamente Salvemini all’inizio del XX secolo.
Possiamo conoscere il pensiero uf­ficiale della Chiesa, leggendo i do­cumenti del Magistero. Ma sulla storia religiosa dell’Ottocento – ov­vero quale fosse il vissuto, la co­scienza, l’impatto del cattolicesimo sulla popolazione – sappiamo poco . Schematizzando, vorrei quasi dire che la “questione cattolica” nasce con la Breccia di Porta Pia, nel 1870. Quando, con un atto di forza, finisce il Risorgimento e si comple­ta la formazione dello Stato italia­no, riconosciuto in quanto tale a li­vello internazionale. Ma anche qui: Manzoni che, non curandosi della scomunica, votò a favore di Roma capitale, era meno cattolico di altri? E Cavour, che pure non può essere definito un cattolico in senso stret­to, non volle morire con il conforto dei sacramenti? Ho qualche remora a individuare con precisione un di­segno esplicito di esclusione dei cattolici dal processo risorgimenta­le. Senza nulla togliere all’impegno e al sacrificio dei patrioti, non vor­rei che si dimenticasse la circostan­za che all’unità italiana si è giunti anche grazie all’intervento armato della Francia, cioè in una situazio­ne di determinati rapporti di forza internazionali, che ne hanno con­dizionato pure lo sviluppo succes­sivo ».
Non si può negare che lo Stato uni­tario, almeno in una certa fase, ab­bia preso di mira le istituzioni cat­toliche: basti pensare Crispi o a Antonio di Rudinì…
«Certamente: ma si tratta, appunto, della vita dello Stato italiano, nelle sue diverse fasi. Ci sono state fasi in cui una classe politica fortemente condizionata dalla massoneria ha attuato misure repressive, fino al­meno all’avvento di Giolitti. Ma an­che personaggi radicalmente anti­clericali a livello locale intrattene­vano buone relazioni con i vescovi e il clero: penso al caso di Zanardel­li a Brescia. Un gran numero dei ministri dei governi post-unitari si professavano cattolici: erano tutti degli imbroglioni? E così i cattolici liberali o i cattolici transigenti: ave- vano valutazioni molto difformi ri­spetto alle indicazioni vaticane, ma non credo si possa mettere oggi in discussione l’autenticità della loro fede. Sturzo rimase sempre obbe­diente, ma era contrario al Non ex­pedit. Poi si oppose alla sua parzia­le attenuazione che portava non al­la creazione di un partito di pro­gramma, ma ai blocchi clerico-mo­derati. E, alla fine, riconobbe al Non expedit il merito di aver con­sentito ai cattolici democratici di organizzarsi e di recuperare il di­stacco culturale con le altre forze in campo. La storia, insomma, va letta come un processo in cui contrap­posizioni e conflitti alla fine tendo­no a smussarsi e a ricomporsi e i ruoli, qualche volta, persino a rove­sciarsi ».
Quindi anche il dissidio tra Chiesa e Stato va letto in questa chiave?
«Nei primi anni del Novecento, il quadro italiano è profondamente mutato. Giolitti (personalmente molto attaccato alla tradizione cat­tolica) non è Crispi, c’è una forte presenza socialista, si introduce il suffragio universale maschile, le masse popolari rivendicano la loro partecipazione a pieno titolo nella vita politica. La Chiesa, da parte sua, capisce benissimo che non può rimanere perennemente anco­rata alle parole d’ordine di Pio IX e comincia a fare i conti con la realtà. La diversità dei pontificati di Pio IX, Leone XIII, Pio X e Benedetto XV attesta proprio, dal punto di vista politico, questa attitudine al cam­biamento, che del resto riguarda tutti gli attori storici. E il Ppi di Sturzo e, anni dopo, la Dc di De Ga­speri non nascono per caso, ma so­no il frutto, travagliato quanto si vuole, dell’evoluzione di questo processo. Del resto, la creazione dello Stato italiano ha fatto nascere, seppur lentamente, una Chiesa ita­liana – anche se, proprio per la pre­senza del Vaticano, non sarà mai e­quiparabile all’esperienza delle Chiese nazionali europee – e ha consentito, d’altra parte, al papato di accentuare l’universalismo».
Un’altra accusa che si fa al Risorgi­mento è di essere stato un fatto eli­tario, che ha lasciato fuori le mas­se popolari.
«È sicuramente vero. Però non neanche trascurata la circostanza che – almeno in Europa – la forma­zione degli Stati nazionali è avve­nuta prevalentemente attraverso u­na spinta dall’alto: la monarchia, nel caso più antico della Francia, o le istituzioni non proprio democra­tiche della Prussia nel caso della Germania».
Lei accennava all’inizio a ricostru­zioni parziali e in certo senso pre­giudiziali della storia del Risorgi­mento: a cosa si riferiva?
«Noto oggi una sorta di alleanza implicita nel demolire il significato del Risorgimento e della unificazio­ne nazionale tra personaggi di area leghista, che ritengono che il pro­cesso unitario così come si è com­piuto abbia danneggiato il Nord, e personaggi di area cattolica che ri­prendono molti schemi della pole­mica intransigente contro lo Stato unitario, come la teoria del com­plotto massonico-protestante, ec­cetera. Sono due tendenze che arri­vano ad analoghe conclusioni par­tendo da posizioni molto diverse: etno-localistica l’una, incentrata sul ruolo “nazionale” del papato e della religione cattolica, l’altra. So­no curioso di vedere come andrà a finire».
«Avvenire» del 12 marzo 2010

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