11 marzo 2010

La tristezza dei tribuni rimasti senza la tv

Ma come vivono, di che si nutrono, come si accoppiano ora Bruno Vespa, Michele Santoro e Giovanni Floris? La scellerata idea di mandarli a casa proprio quando è di scena la politica, genera spaventosi interrogativi sulla loro clandestinità e le loro condizioni di salute
di Marcello Veneziani
Ma come vivono, di che si nutrono, come si accoppiano ora Bruno Vespa, Michele Santoro e Giovanni Floris? La scellerata idea di mandarli a casa proprio quando è di scena la politica, genera spaventosi interrogativi sulla loro clandestinità e le loro condizioni di salute. Punirli sul più bello, privarli del giocattolo proprio mentre comincia il gioco, è stato di un sadismo efferato; la crudeltà mentale nei loro confronti è stata più grave della censura politica e della cesura informativa nel servizio pubblico (e solo in quello, poi...).
Difficile immaginarli dal vivo i tre arcivescovi di Raiuno, Raidue e Raitre, privati delle loro arcidiocesi. Strano, troppo strano vederli camminare nudi di telecamera, evirati del microfono; vederli apparire senza la sigla dei loro programmi, senza uno straccio di Travaglio o di Mannheimer di scorta, impotenti a dare o togliere la parola al prossimo... Non posso pensarli in che stato si trovano, ridotti all’impotentia loquendi, più terribile dell’impotentia coeundi e dell’impotentia generandi. Pensarli inoffensivi, come gatti castrati dal padrone per evitare pasticci, e dunque ingrassati oltremisura, come accade agli animali evirati; magari con voci flebili, quasi bianche. Non si può immaginare la loro sofferenza perché non possono lanciare servizi né collegamenti ma solo implorare umanissimi caffè al bancone e modestissime pizze margherita a tavola. È come se a un politico gli togli di colpo la carica, l’auto blu, la scorta e il collegio; ovvero lo riduci a povero mortale, cioè a comune cittadino. Gli togli lo scettro del comando, lo riduci a elettore passivo, come noi con le urne, anzi peggio, come Balducci con i nigeriani. Dev’essere terribile, non lo auguro nemmeno al peggior nemico.
Come reagiranno i tre arcivescovi della Rai al confino dal video? Santoro in fondo è abituato alle espulsioni. Al liceo fu cacciato perché aveva rigato la macchina a una professoressa; ma lui continua a negare e a fingersi vittima. Poi fu cacciato dalla Rai ai tempi in cui era premier D’Alema e si rifugiò nelle reti berlusconiane. Poi fu cacciato dalla Rai berlusconiana per abuso di tv faziosa. Ora, che è stato semplicemente sospeso a divinis per ragioni di par condicio, il danno gli parrà meno gustoso, perché non può nemmeno atteggiarsi a martire e innalzarsi a vittima, giacché condivide la sospensione col suo concorrente sinistro, Floris di Raitre, con la sua odiata conterronea e compagna, Lucia Annunziata e anche con il suo opposto di Diocesi, Monsignor Bruno Vespa. Anche Floris sì, maledirà la sospensione, ma trattandosi di un disarmo generale, mal comune non sarà mezzo gaudio, però almeno è mezza pena. Il più sofferente sarà invece proprio Bruno Vespa che va in video come si va in dialisi, e lontano così tanti giorni dalla Macchina non può stare, mi muore per strada. È come se gli avessero strappato in diretta il catetere e la flebo, in una botta sola. Proprio ora che aveva esteso i suoi domini dalla politica all’eros, dal Parlamento a Sanremo, più disgrazie varie e cronaca nerissima.
C’è chi li ha avvistati in situazioni disagiate. Vespa fu visto l’ultima volta ad un raduno di girotondini della Rai e quando capì la mala parata, si ricordò che doveva preparare una cena, rivelando così che era stato assunto a cottimo come neo-maggiordomo (e sottolineo il neo). Santoro è stato sorpreso a fare stalking a Travaglio, gli telefona in continuazione, gli manda sms, mail e perfino teste di capre sanguinanti; si apposta per ore, lo aspetta sotto casa e sotto il Fatto.
Floris versa in condizioni disperate e sta tutto il giorno in casa a vedere e sentire all’infinito la sigla di Ballarò, mimando il pupazzo del cartoon: ha proposto infatti di fare un Ballarò da cortile. Ma queste sono solo voci perfide messe in giro da quelli della concorrenza, Vinci, Ricci e altri mediasettari.
Allora, che stanno facendo veramente Vespa, Santoro e Floris, in questo periodo sabbatico? Azzardo alcune ipotesi. La prima è che Vespa si sia ritirato in Abruzzo, a Campo Imperatore, nel rifugio dove era detenuto il duce, suo presunto padre, e là stia scrivendo in questo mese una dozzina di libri, questa volta frondisti e maliziosi verso Berlusconi. Santoro starebbe ricostituendo a Salerno la cellula di Servire il popolo, per darsi poi alla lotta partigiana vestito da Conan il barbaro, cantando Bella ciao all’Annunziata e rigando le auto di Mauro Masi, il direttore generale della Rai. Floris invece starebbe frequentando la palestra per farsi crescere i bicipiti, la voce e la statura e prepararsi così a un ritorno muscolare in video per la Pasqua di resurrezione.
Intanto c’è chi suggerisce di utilizzarli in video ma con ruoli diversi e non politici. Ad esempio potrebbero fare sceneggiati tipo i Tre Moschettieri o concerti come i Tre Tenori, ma non garantiamo che siano in grado di catturare l’audience, se non alla pagina 777 per i non udenti. Considerando che tra gli epurati c’è pure l’Annunziata, potrebbero reinventarsi come Quartetto Cetra, dandosi ad un repertorio più leggero, ironico e parodistico. Un’altra ipotesi è che la Rai li deporti all’Isola dei famosi o li inserisca in una soap, tipo Capri o Un posto al sole. È improbabile che la Rai li mandi in colonia, come s’usava per i dipendenti di una volta, organizzando con il dopolavoro della Rai, l’Arcal, un viaggio di evasione, magari ad Haiti o in Cile.
Che i loro programmi siano stati cassati dal video per quella demenziale par condicio, lo trovo uno sfregio idiota. Ad un certo punto, quando ho visto oscurare prima i programmi in tv e poi le liste in tribunale, con la gara seguente a eliminare anche le liste concorrenti, ho pensato che stessero abolendo la politica. Però se devo dire la verità, non ho provato orrore davanti a questa eventualità. Mi dispiace dirlo, ma non riesco a soffrire la mancanza.
«Il Giornale» dell'11 marzo 2010

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