26 marzo 2010

La frenesia livida di sporcare, piegare e colpire

Questa feroca «onda mediatica»
di Marina Corradi
Non è vero che la Congregazione per la dottri­na della fede, negli anni in cui era guidata da Joseph Ratzinger, insabbiò il procedimento cano­nico a carico di Lawrence Murphy, il sacerdote a­mericano colpevole di abusi su dei bambini sordi. Chi legga i documenti pubblicati dal New York Ti­mes a sostegno di questa accusa scopre che in realtà solo i vertici della Chiesa americana insistettero a indagare su fatti, che erano stati archiviati dalla giu­stizia civile.
È vero invece che la terribile vicenda delle 29 de­nunce contestate a padre Murphy – e risalenti ad a­busi avvenuti tra il 1950 e il 1974 – arrivò alla Con­gregazione solo nel 1998, quando l’ ormai anziano sacerdote scrisse a Ratzinger chiedendo l’interru­zione del processo anche a causa delle sue gravi con­dizioni di salute. Tuttavia l’allora segretario della Congregazione, Tarcisio Bertone, rispose ordinando che si procedesse secondo le misure previste dal ca­none 1341 «per ottenere la riparazione dello scan­dalo e il ristabilimento della giustizia». Il prete ac­cusato morì quattro mesi dopo.
Della realtà sulla denuncia del New York Times rife­riamo a pagina 5. Ma un simile attacco (il secondo in pochi giorni) sulla prima pagina di uno dei più au­torevoli quotidiani americani è una cosa che fa pen­sare. È un piegare quasi con la forza i fatti a una tesi che sembra precostituita e ordinata a uno scopo pre­ciso: attaccare, nella persona del Papa, la Chiesa. Con una determinazione e una tendenziosità che lascia sbalorditi. Le accuse contro quel sacerdote america­no sono terribili, ma dopo la prima denuncia il pre­te venne allontanato e da allora visse ritirato. La giu­stizia civile lasciò perdere. Da Roma invece, 24 anni dopo l’accaduto, non si consentì alla richiesta di can­cellare la vicenda. Chi è l’insabbiatore dunque?
La sproporzione fra le accuse e la realtà è troppa per non vedere la volontà di addossare alla Chiesa l’im­magine di una sorta di 'cupola' opaca, che sa e non vede, che è informata e finge di ignorare. Quasi co­me se la dolorosa e limpida lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, ammettendo le colpe di alcuni sacerdoti e le mancanze di una Chiesa locale, aves­se risvegliato un rancore inespresso ma aspro, un’an­sia di lanciare accuse gravi e non provate contro la Chiesa tutta, e il Papa per primo. C’è un sentore qua­si di voglia di lapidazione in certi titoli forzati, spa­rati e subito ripresi da altre testate: come quando tra bande di ragazzi si decide all’improvviso che 'quel­lo' è il nemico, e insieme lo si attacca.
Perché? Noi non sappiamo di complotti. Abbiamo invece il dubbio di trovarci di fronte a una di quel­le onde mediatiche che a volte traversano l’infor­mazione: gli episodi di pedofilia in Irlanda, denun­ciati dallo stesso Benedetto con una accorata ri­chiesta di verità e giustizia, usati come anello di u­na catena che va a cercare singoli episodi, ora veri ora dubbi, ora vecchi di trenta o cinquant’anni, in cui gli accusati spesso sono morti; e serra l’uno al­l’altro gli anelli, fino a farne una catena vera, da pri­gionieri, che mette addosso ai sacerdoti cattolici, tutti, alla Chiesa, tutta.
Di 'onde mediatiche' se ne creano spesso, come se i media amplificassero se stessi in un gioco incon­trollabile di echi. Ma questa volta si avverte in alcuni almeno una frenesia strana di lanciare il sasso, di sporcare, di insinuare che, in realtà, coloro agisco­no nel nome di Cristo sono poi uguali a noi, e anzi molto peggiori. Il che talvolta tragicamente può es­sere vero. Ma non cambia la essenza della Chiesa, il suo essere corpo di Cristo, pure fatto di uomini peccatori.
Che strana, livida voglia di fango emerge da certi ti­toli, dalla realtà piegata e costretta nei propri disegni. Viene in mente l’Eliot dei Cori da «La Rocca», viene in mente quella Straniera che non è amata da­gli uomini – perché è «la Testimone»: «Colei che ri­corda la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare». La Chiesa, che ancora pretende di affer­mare che esiste un Bene, e un Male. Che questo dia fastidio? Sembra diretto ai nostri giorni la profezia di Eliot, siamo noi, forse, «gli uomini che deridono/ tut­to ciò che è stato fatto di buono».
«Avvenire» del 26 marzo 2010

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