06 marzo 2010

La calunnia è antica, i nipoti sono moderni

di Sergio Luzzatto
"L'impazienza di certi segugi dell'informazione degenera spesso in frenesia: non vivono per altro che per fare avanti e indietro lungo i pubblici viali, così da raccattare e da ripetere tutto ciò che si dice, tutto ciò che si stampa; e siccome vogliono credere a tutto, le mere congetture diventano realtà al loro sguardo. La corte, la città, le repubbliche, i regni, l'universo, tutto rientra nella loro sfera di competenza; ma tanto più si sentono a proprio agio, quanto più si pronunciano sui ministri, sui generali d'armata, e sui sovrani in persona".
Resistiamo alla facile tentazione dell'anacronismo. Rinunciamo a pensare che questo ritratto dei gossippari travestiti da giornalisti sia stato abbozzato per l'uno o per l'altro segugio dell'Italia d'oggidì, una firma del Fatto quotidiano, un direttore di Libero o del Giornale. Guardiamo al luogo e alla data - Parigi, 1786 - e mettiamoci il cuore in pace. Non è di noi che si sta parlando. La citazione è tratta da un volume di Louis-Sébastien Mercier, talentuoso cronachista della vita parigina nell'età di Luigi XVI. La si legge in un libro di storia appena pubblicato da Gallimard, che nulla c'entra - per fortuna - con i nostri feltri né con le nostre farine né con i nostri travagli. È l'ultimo libro di uno dei migliori storici al mondo, l'americano Robert Darnton. Si intitola Le Diable dans un bénitier, il diavolo in un'acquasantiera. Racconta l'arte della calunnia nella Francia dei Lumi e della Rivoluzione.
Maestro di storia del libro e dei libri, Darnton aveva dimostrato già in altri studi l'importanza della letteratura scandalistica nella crisi dell'Antico Regime. Al tempo dell'illuminismo, il settore più vitale del mercato librario fu rappresentato dalla cosiddetta produzione philosophique, fatta non tanto dalle opere dei pensatori di rango, Rousseau o Diderot, Voltaire o d'Alembert, quanto dalla paccottiglia dei libellisti. Adesso Darnton ha inseguìto oltre il fatidico 1789, fin dentro la Rivoluzione, il filo rosso di questa letteratura della calunnia. Pamphlets su pamphlets vietati dalla censura, eppure circolanti ai quattro angoli della Francia borbonica: scritti in forma anonima, stampati clandestinamente, contrabbandati verso le botteghe dei librai, smerciati sotto banco, letti a più non posso. E discussi ad alta voce lungo i moli di Bordeaux o di Marsiglia come sui lungosenna di Parigi, nei mercati, ai giardini pubblici, ma soprattutto nelle migliaia di caffè e osterie della capitale, là dove il vino annaffiava una "filosofia" spesso indistinguibile dalla pornografia.
Quando gli autori dei libelli venivano scoperti dalla polizia, correvano il rischio molto concreto di essere "imbastigliati": venivano rinchiusi nella fortezza parigina della Bastiglia, che anche così divenne un simbolo dell'oppressione "ministeriale". Da qui l'abitudine degli autori del tardo illuminismo di emigrare oltre Manica, per lanciare dall'Inghilterra strali avvelenati contro una Francia che si cibava voracemente dei loro scritti, eppure li condannava alla marginalità. Perciò, il libro di Darnton è una storia dei bassifondi culturali di Londra quasi più che di Parigi: un demi-monde di libellisti che erano anche disertori o bancarottieri, finti medici o falsari, preti spretati o magnaccia. Il governo francese infiltrava con agenti segreti gli ambienti di questo sottoproletariato intellettuale, cercando di comprare (o di compromettere) gli autori dei libelli, di rapirli, addirittura di ucciderli. Ma capitava che gli agenti stessi, ingolositi dalle prospettive di guadagno, si mettessero in società con i libellisti...
Fino agli anni ottanta del Settecento, il gioco della calunnia a mezzo stampa ebbe un carattere sedizioso piuttosto che rivoluzionario. Beninteso, il gioco era scopertamente politico. Il bersaglio erano i "grandi", l'argomento era la lotta al "dispotismo", l'assunto era quello di una monarchia francese minata dall'immoralità e dall'incompetenza. Sorprendente bestseller dei Lumi, Il gazzettiere corazzato (1771), di un tale Théveneau de Morande, metteva in scena Luigi XV come un erotomane, un Priapo ricattabile, ricattabilissimo, dai suoi ministri corrotti come dalle sue amanti mercenarie. Tuttavia, prima della Rivoluzione il gioco della calunnia era anzitutto un gioco delle parti, meno ideologico che sarcastico, meno morale che teatrale. Un altro bestseller dei Lumi tardivi, Il Diavolo in un'acquasantiera del marchese Lafitte de Pelleport (pubblicato nel 1783, è il libello che offre il titolo al libro di Darnton), metteva in scena proprio Théveneau de Morande come il più infimo degli scrittorucoli, mezzano di omosessuali e informatore di polizia.
È a partire dal 1789 che la teatralità diventò moralismo, il sarcasmo diventò ideologia, e l'arte della diffamazione diventò elogio della delazione. La polizia di Parigi svelata (1790), un pamphlet del rivoluzionario Pierre Manuel, muoveva dall'equivoco personaggio di Lafitte de Pelleport per rappresentare la figura del buon giornalista come una sentinella infaticata e infaticabile, sempre di guardia contro gli onnipresenti nemici del popolo. Tre anni più tardi, cioè in pieno Terrore, La vita segreta di Pierre Manuel (di un tale Pierre Turbat) raffigurava Manuel stesso come un volgare fabbricatore di dossier ricattatori, e dunque benediva la sua morte sulla ghigliottina. Il sistema della calunnia funzionava così, di anello in anello, come una lugubre catena: chi di libello feriva di libello periva.
Ma il sistema traeva la sua forza commerciale e culturale - la sua presa sul pubblico dei lettori - dal fatto che i libellisti non inventavano di sana pianta. Se quello che raccontavano nelle loro "cronache scandalose" non era quasi mai del tutto vero, non era quasi mai del tutto falso. La più chiacchierata delle amanti di Luigi XV, la famosa contessa Du Barry, era effettivamente un'ex puttana di origini plebee. Lafitte de Pelleport era veramente un avanzo di galera che offriva la sua penna a chi la pagava meglio, quand'anche si trattasse di dipingere un Luigi XVI impotente o una Maria Antonietta ninfomane. Pierre Manuel era un maestro di scuola fallito, proiettato ai vertici della Municipalità di Parigi dallo tsunami della Rivoluzione. Allora come oggi, l'arte della calunnia riusciva tanto più insidiosa in quanto non era un'arte dell'impossibile e neppure dell'improbabile: era un'arte del verosimile.
La letteratura scandalistica consiste, essenzialmente, in "rivelazioni" sulle vite private dei personaggi pubblici. I gossippari del tardo Settecento lo avevano capito con due secoli e passa di anticipo sui gossippari del Duemila: sono i nomi che fanno le notizie. Al centro stanno i "grandi", e i loro punti deboli sono immancabilmente due: il lucro e il sesso. Colpirli all'altezza del portafoglio o sotto la cintura serve a produrre reazioni viscerali, perché l'opinione pubblica - ci insegna Robert Darnton - non è solo quella che piace tanto a Jürgen Habermas, incline a un dibattito razionale e capace di uno spirito critico. L'opinione pubblica funziona anche di cuore e di pancia, si alimenta di emozioni e di pulsioni non meno che di ragioni.
I libellisti dei Lumi e della Rivoluzione potevano ben essere scrittori falliti o pennivendoli da strapazzo, resta il fatto che furono capaci di trasformare un copione scontato e ripetitivo - i vizi privati dei "grandi" sono l'inconfessabile motore della politica - in qualcosa come una mitologia condivisa: una visione collettiva del mondo, un'immagine generale della storia contemporanea. Ma ci riuscirono perché sotto il fumo delle calunnie rosolava effettivamente, prima e dopo il 1789, un arrosto di ipocrisia, di malcostume, di corruzione.
In questo senso, il demone scacciato dalla porta rientra malizioso dalla finestra. Quando si racconta la storia della calunnia nella Francia settecentesca, è pure di noi che si sta parlando. Di una politica sempre più personalizzata, in tempi di crisi dell'astrazione democratica. Di un'antipolitica sempre più votata a una rappresentazione satanica dei potenti. E di classi dirigenti sempre più vittime non soltanto dei calunniatori, ma di se stesse: del brutto spettacolo che si riflette fra le dorature dei loro specchi.
«Il Sole 24 Ora» del 6 marzo 2010

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