22 marzo 2010

Due figli, non oltre: la pianificazione familiare sorridente. Uno studio anglo-norvege­se

di Giulia Galeotti
Uno studio anglo-norvege­se, riportato dalla rivista Social Science & Medicine, avrebbe finalmente individuato la tanto agognata 'ricetta per la felicità'. No­nostante l’umanità si sia da sem­pre arrovellata alla sua ricerca, gli ingredienti, in realtà, sarebbero sotto gli occhi di tutti, facili e qua­si banali. La formula magica per essere felici è quella di diventare genitori di due figli. Due, si badi, non uno di meno, non uno di più. Secon­do i ricercatori, a stare peggio in assoluto è chi ri­nuncia del tutto alla prole o chi opta per un so­lo figlio: in agguato tumori, cardiopatie, malattie respiratorie, incidenti stradali e dipendenza dal­l’alcol ecc.. Superando i quattro figli, arrivano in­vece stress, preoccupazioni economiche e tanti altri imprevisti, potenzialmente mortali. Per lei, si moltiplica il rischio di cancro al collo dell’ute­ro, per lui, aumenta il pericolo di morte violen­ta. Le indicazioni sono davvero dettagliate. È ve­ro che dal punto di vista della 'gioia familiare' (continuano sempre gli esperti) allevare tre bam­bini è ancor meglio che accudirne solo due, oc­corre però considerare anche il rischio di malat­tie, dipendenza o incidenti, un calcolo che fa scen­dere il numero perfetto a due figli.
Ad ascoltare la notizia, inizialmente verrebbe quasi da sorridere. Finalmente anche la scien­za si è accorta che avere figli fa bene, che pren­dersi cura 'dei piccoli' non è solo fatica, ripetiti­vità ed impegno, ma un’occupazione che giova alla mente e al corpo. Eppure, questa contabilità riproduttiva ha in sé qualcosa di inquietante. Col­pisce innanzitutto come l’enfasi della notizia ven­ga posta sui benefici che l’avere figli produrreb­be sul singolo genitore, quasi che la prole nella 'giusta quantità' sia un nuovo ritrovato per il be­nessere personale, l’ultimo elisir di giovinezza. D’altro canto, la notizia è l’ennesima conferma di come il credo ormai imperante ed accettato sia quello della pianificazione familiare. Una piani­ficazione in positivo, ovviamente, presentata in nome del progresso, del miglioramento e della salute. Non da oggi ci siamo piegati alla divinità scientifica, una scienza (o pseudo-tale) cui con­tinuiamo sempre più a delegare, nel piccolo e nel grande, le nostre scelte quotidiane (dal cosa man­giare a come gestire il dolore interiore, da come morire a quanto sport fare). Nessun problema, dunque, se è la scienza a spiegarci e indicarci quando avere i figli, come e quanti avene, non­ché (più o meno velatamente) con quali caratte­ristiche.
Di certo, per l’imprevisto, la gioia, la speranza, l’accoglienza gratuita, l’amore, in una parola per tutto ciò che, semplicemente e misterio­samente, è l’umano con le sue ombre e le sue lu­ci, non sembra esservi (ancora una volta) posto. Nel meraviglioso film Gattaca, i figli dell’amore (contrapposti ai figli della provetta) si vergogna­vano per essere stati concepiti in modo tanto pri­mitivo.
E selvaggio.
«Avvenire» del 18 marzo 2010

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