06 marzo 2010

«Dan Brown e Larsson, ecco in chi crede la gente»

di Enrico Groppali
A tanti anni di distanza dall’ultima volta che l’ho visto Michel Tournier, che ha da tempo varcato gli ottant’anni, non è affatto cambiato. Come non è cambiato il Presbiterio di Choisel, la canonica alle porte di Parigi che lo scrittore ha consacrato, da laico convinto, a «nuovo altare dei suoi sacrifici pagani» (dice lui con impagabile ironia) scrivendo in piedi davanti a un leggio i suoi libri e, la sera, narrando ai bimbi del villaggio le favole della Contessa di Ségur. Inevitabile quindi chiedere a un personaggio come lui, che nella sua opera multiforme si è occupato di temi spinosi e spesso incongrui (da noi sono appena stati ripubblicati Gasparre, Melchiorre e Baldassarre da Garzanti e Venerdì o i limbi del Pacifico da Einaudi), cosa pensa del mondo di oggi.
Dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo del comunismo, ora sia in Italia che in Francia la destra liberale ha vinto la sua battaglia contro la sinistra. Lei che ne dice?
«Che è semplicistico porre la questione in questo modo. Lo dico da buon socialista che ricorda come uno dei giorni più belli della sua vita la visita che mi fece Mitterrand nell’85. È stata l’unica volta che, parlando con un politico dell’avvenire dell’umanità, mi sono trovato pienamente d’accordo con lui».
In che senso?
«Oggi viviamo un momento d’afasia che da voi s’incarna in Berlusconi e da noi in Sarkozy. Sono entrambi simpatici e in buona fede ma invece di incidere con un segno personale negli avvenimenti si limitano più ad assecondarli che a contrastarli».
È questo il loro limite?
«Sì, ed è tipico di questa breve stagione. Vede, entrambi si comportano come gli scrittori dei best seller oggi più acclamati. Sappiamo tutti il successo che ha arriso a Stieg Larsson con la sua trilogia e a Dan Brown col suo esoterismo a buon mercato. Entrambi come i politici liberal della nuova Europa seguono l’attuale ondata di riflusso».
Come, come?
«Nel dogma non si crede più come non si crede più nella giustizia dello Stato ed ecco allora profilarsi i nuovi pseudofilosofi. Uno che parla di Dio come se avesse conosciuto di persona Gesù Cristo e l’altro di come un cittadino qualsiasi può ergersi a giudice di efferati delitti dopo averne scoperto gli autori».
Con quali conseguenze?
«Che i romanzieri alla moda come i politici al potere fanno opera di fantasy mettendo tra parentesi la realtà».
Cosa sta preparando?
«Un piccolo libro dal nome latino: Mirabilia. Sarà la summa degli avvenimenti più importanti della mia vita».
Vita intima o vita sociale?
«La vita dello spirito, che poi equivale alla vita del corpo dato che l’uno non può sussistere senza l’altro. Per questo scavo dentro me stesso per portare alla luce i tesori sepolti nelle mie letture, nei miei viaggi, nelle mie esperienze».
Una specie di diario intimo?
«No, una sorta di testamento. Analogo, in un certo senso, alle Vertes lectures, il libro di quattro anni fa dedicato alle letture che consiglio all’infanzia e alla pubertà».
C’è chi, pur ammirandola, rintraccia nel suo mito dell’adolescente come creatura perfetta una vena di sadismo ...
«Già. Risale all’epoca del Re degli Ontani quando anche i miei lettori più fedeli scorgevano in me l’orco e non il poeta, come Italo Calvino».
Proprio Calvino, il cosiddetto apostolo della democrazia?
«Si è democratici solo quando si scorgono con chiarezza i limiti di certe ideologie, che Calvino preferiva ignorare. Tanto è vero che bollò come reazionario il Re degli Ontani. Che per lui era una pura mitologia del nazismo».
Come andò a finire?
«Che in Italia il libro non fu pubblicato da Einaudi ma da Mondadori. Un editore che non predica certi assurdi pregiudizi».
A proposito di miti, Lei noto germanista figlio di illustri germanisti, come giudica lo spirito tedesco?
«Quando feci le prime letture in quella lingua, avevo quindici anni e si era nel ’39, all’epoca della guerra. E dopo aver superato i venti c’era ormai la DDR, un’altra terribile mitologia».
Devo dedurne, da parte sua, un’assoluta sfiducia nel cammino della Storia?
«Scherza? Non ha ancora compreso che la Storia è un delitto e la Geografia un bene supremo? Purtroppo la Storia è un fiume in piena che tracima sempre sangue oppressione e sterminio mentre la Geografia, descrivendo un popolo, ti apre alla conoscenza del mondo e all’amore per l’uomo».
A proposito del nostro posto nel mondo, cosa pensa della paternità?
«Che è la nostra croce e delizia. C’è quella di Crusoe che in Venerdì o i limbi del Pacifico identifica con la Natura, quella fisiologica in ambito familiare e poi quella ideale di cui ho diretta esperienza».
«Il Giornale» del 6 marzo 2010

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