23 marzo 2010

Come reagire all'ideologia del «genere» ?

di Paola Ricci Sindoni
Per un paradosso culturale e storico il femminismo radicale di marca anglosassone (ma non solo), che ereditava dal suo glorioso passato la rivendicazione orgogliosa della differenza tra i sessi, ha ormai accolto l’idea dell’uguaglianza di genere, vista come definitivo affrancamento dal peso della biologia (che determina naturalmente chi è femmina e chi è maschio), in nome di una vittoria della libertà individuale che può decidere di volta in volta il suo orientamento sessuale. Dal canto suo la Chiesa, da sempre bersagliata come portatrice di pratiche maschiliste e di utilizzazione generica dell’uguaglianza come strumento di potere del più forte, è oggi la voce più forte della differenza tra i sessi, come risorsa antropologica ed etica. Come è potuto accadere tutto questo? Chi voglia chiarirsi le idee di questo complicato intreccio, che ha degli inquietanti risvolti sul piano dei costumi e del senso comune, prenda in mano un agile libro a firma di una giovane storica, Giulia Galeotti (Gender- Genere. Chi vuole negare la differenza tra maschio- femmina? L’alleanza tra femminismo e Chiesa cattolica, edizioni Viverein), che con linguaggio chiaro e convincente ci conduce dentro i complicati meandri di questa strana avventura culturale del 'gender', divenuto ormai paradigma intoccabile nelle commissioni anti- nataliste dell’Onu e dell’Ue e che rappresenta sinistramente uno degli ultimi grimaldelli con cui scalzare la classica visione antropologica, segnata dalla differenza biologica e dalla uguaglianza culturale (sempre da ricercare e rivendicare) tra maschio e femmina. La questione del 'genere' – va subito detto – non è tanto o non solo materia di dibattito intellettuale, né solo una disciplina accademica (in pochi anni già consolidata), ma è soprattutto un modello culturale invasivo, entrato all’interno dell’immaginario collettivo, sempre più abituato a pensare che la differenza sessuale ha sempre seminato discriminazione e intolleranza (per cui vale la pena eliminarla), mentre la scelta del proprio orientamento di genere potrà finalmente creare le condizioni di parità e di uguaglianza. Cinema, letteratura, televisione ci hanno ormai abituati a questo cambio di paradigma, accettato supinamente senza ulteriori prove d’appello, se è vero che qualche giorno fa, l’8 marzo, si celebrava la festa della donna in un talk show affollato di trans … Come reagire? Ripartendo dalle giovani generazioni, più capaci e libere da pregiudizi culturali, a cui indicare che differenza e uguaglianza non sono antinomiche, come esprimono tante credenti studiose di pensiero 'al' femminile che si rifanno alla concezione biblica e magisteriale in tema di antropologia duale; che le teorie del 'gender' appiattiscono e omologano, diventando ancora una volta il segnale inquietante di una cultura a una sola dimensione, di un pensiero monologico, ideologico e totalitario. Va detto anche che l’uguaglianza non significa uniformità, ma parità, come bene precisa Giulia Galeotti, mentre la differenza è portatrice della forza creativa del numero 'due', capace di esprimere dialettica, critica, reciprocità, legame simmetrico, tutto ciò insomma che potenzia quell’intreccio fecondo e mai sciolto di natura e di cultura.
«Avvenire» del 23 marzo 2010

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