11 marzo 2010

Che a scuola trovi spazio la «disciplina dei sentimenti»

I profilattici «lezione» sbagliata in un liceo di Roma
di Paola Ricci Sindoni
Accanto a nuove discipline legate allo sviluppo tecnologico, come l’informatica, o a quelle connesse alle tendenze comunicativo-linguistiche a opera della globalizzazione, come lo studio dell’inglese, bisognerà che si cominci a pensare all’opportunità che a scuola si insegni anche la «disciplina dei sentimenti». Intesa nel suo duplice significato semantico di «materia» di riflessione e di studio, che coinvolga le scienze umane – dalla psicologia alla filosofia, dalla psicanalisi alla sociologia –, e di «orientamento» nella complessa e necessaria formazione personale ai legami affettivi. Le giovani generazioni, infatti, appaiono sempre più disarmate e sprovviste di strumenti psicologici e spirituali, volti a quella che tradizionalmente veniva chiamata «formazione del carattere», quell’insieme di motivazioni, di desideri, di impulsi che vanno accolti, disciplinati, e infine metabolizzati nel patrimonio personale di crescita, così da prepararsi all’incontro con il mondo affettivo dell’altro, che viene veicolato «anche» attraverso la scoperta dell’altro sesso. Non è certo questione di moralismo spicciolo, o di generico appello ai valori tradizionali, se si ritiene urgente allargare l’àmbito dell’educazione – soprattutto familiare e scolastica – all’intero ventaglio dei sentimenti e degli affetti, gli autentici volani per una più consapevole pratica della propria sessualità. Ridotto ormai a un semplice esercizio fisico, pilotato dalla naturale attrazione e dalle pulsioni ormonali, il sesso praticato dai giovanissimi è lasciato senza orientamento o, tutt’alpiù, monitorato nelle sue possibili conseguenze igienico-sanitarie. Da qui l’obiettivo corto del preside e degli insegnanti del liceo scientifico Keplero di Roma: i ragazzi fanno sesso? Aiutiamoli a non 'farsi male', garantendo loro preservativi a portata di tutte le tasche, come precisava premuroso in tv il preside che ha fatto installare i distributori di profilattici nei bagni scolastici diventati bisex, luoghi un cui tra una lezione e l’altra sia possibile scaricare la propria tensione ormonale o, magari, l’istantaneo brivido di un’emozione. Non viene in mente a questi educatori che il problema sta da un’altra parte? Non si accorgono che in tal modo privano i giovani che sono affidati loro dell’opportunità di vedere la scuola come luogo in cui affrontare questioni legate al mondo affettivo, così da garantire una formazione più allargata che maturi al gusto del voler bene, all’apprezzamento e al rispetto dell’altro, orientando il desiderio verso un’affettività più stabile, il culto per i sentimenti duraturi? Non c’è bisogno infatti che questa disciplina venga formalmente inserita nei programmi ministeriali per mettere in moto, nei docenti, l’esigenza di intercettare le difficoltà e i bisogni dei ragazzi, offrendo loro momenti di riflessione, di confronto e di verifica. C’è da immaginare che molti di questi insegnanti siano padri e madri di altrettanti studenti che, come quelli consegnati alle loro cure a scuola, sentono l’esigenza di punti di riferimento, di persone autorevoli cui affidare una parte di vita vissuta insieme per anni fra i banchi di scuola, e che nessuna vendita di oggetti a basso prezzo può sostituire. Si potrà obiettare che è inutile fermare questa marcia inarrestabile, e che farebbe bene la Chiesa a rassegnarsi e a smettere di lanciare i suoi richiami. È auspicabile invece che non smetta di parlare, anche se è lasciata sola: la sua naturale passione per l’uomo, specie per quello in via di formazione, è la sua preoccupazione e la sua cura, la sua inquietudine, ma anche la sua speranza.
«Avvenire» dell'11 marzo 2010

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