30 marzo 2010

Alessandro D'Avenia: "Gli adolescenti cercano più realtà che reality"

E' palermitano l'autore dell'ultimo caso letterario - Bianca come il latte rossa come il sangue - pubblicato dalla Mondadori
di Barbara Giangravè
A dieci anni dal mio diploma, mi è stato sufficiente leggere il suo libro per ricordare tutto, esattamente com'era: le mie aule, i miei banchi, i miei compagni, i miei professori. Ma anche i miei primi battiti del cuore, le amicizie che credevo sarebbero durate per sempre, gli amori che pensavo non sarebbero finiti mai. Ma - come uno dei più celebri aforismi attribuiti a Eraclito - Panta rei, cioè tutto scorre.
Così, tutti questi anni mi sono scorsi addosso senza che (quasi) me ne accorgessi e la mattina in cui, dopo la doccia, guardandomi allo specchio mi sono accorta del primo capello bianco, ho avuto paura. Ma lui - col suo libro - mi ha aiutato a riconciliarmi col mio passato e mi ha aiutata a capire che non rinnego davvero niente di quello che è stato.
Volete sapere chi è questa specie di "terapeuta"? Si tratta di Alessandro D'Avenia, il palermitano autore dell'ultimo caso letterario (Bianca come il latte rossa come il sangue) pubblicato dalla Mondadori, di cui - anche con un pizzico di sano campanilismo scolastico, dato che frequentava il mio stesso liceo - vi invito a leggere quest'intervista.
Ciao Alessandro. Prima di parlare di te come insegnante (dato che insegni all'istituto San Carlo di Milano) o come scrittore, vorrei parlare di te come studente.
Beh, non c'è niente di particolare da dire. I miei anni al liceo sono stati normalissimi. Frequentavo il Vittorio Emanuele II di Palermo e avevo la mia figura di riferimento nel professore di lettere, Mario Franchina. A 16 anni volevo già essere come lui: con la stessa balbuzie e la stessa luce negli occhi quando ci spiegava qualcosa. Era emozionato ed era felice di fare il suo lavoro. Guardavo con un certo interesse, inoltre, al professore Pino Puglisi, docente di religione, ma non nella mia classe. Lo incrociavo spesso in corridoio e mi sembrava che fosse un uomo fragile. Uno di quelli che, se gli avessi soffiato sopra, sarebbe volato via. Quando non tornò più a scuola e seppi anche il perchè, capii che era un uomo fortissimo, invece.
Dal ritratto che hai appena fatto di te, potrei anche pensarti come una specie di secchione ...
No, assolutamente no. Tutto il resto è andato come nella vita di ogni adolescente che si rispetti. La scuola era il luogo delle prime battaglie, delle prime occupazioni. Il fulcro attorno al quale ruotavano i tornei di calcetto. Indubbiamente, io ero uno studente a cui piaceva studiare, ma soprattutto le materie umanistiche. Di quelle scientifiche è meglio non parlare. Ancora oggi sogno l'esame di maturità e mi chiedo come abbia fatto a sostenerlo.
A un certo punto, però, hai deciso che volevi diventare insegnante: quando è successo?
Come ti dicevo, a 16 anni avevo già deciso cosa volevo fare da grande. Ricordo anche un altro insegnante, Roberto Picone, sempre del Vittorio Emanuele II, ma anche lui - così come padre Puglisi - non docente della mia classe. Ogni tanto, veniva a farci qualche ora di supplenza e io m'incantavo ad ascoltarlo. Mi piacevano tanto gli insegnanti come lui. Poi accadde che, un giorno, vidi "L'attimo fuggente" e fu la consacrazione della mia scelta. Condivido solo in parte la figura del professor Keating, ma quel film è un capolavoro.
Questa mi giunge nuova: perchè condividi solo in parte la figura di Keating?
Perchè Keating è un narcisista che soffre di un delirio d'onnipotenza. Alla fine del film porta i ragazzi a sè, non a loro stessi. E' per questo che non lo condivido. Un insegnante deve aiutare i ragazzi a raggiungere loro stessi, nessun altro.
Quando e com'è nato l'Alessandro D'Avenia scrittore, invece?
Diventare scrittore è stato un fatto tanto naturale quanto graduale per me. Quando ero ancora uno studente di liceo, non brillavo particolarmente nei temi. Ricordo di avere preso anche delle insufficienze al ginnasio. Ma mi piaceva leggere e inventare delle storie fin dalle scuole elementari. Capitava spesso, infatti, che da bambino mi distraessi, perchè mi lasciavo trasportare dalla mia fervida immaginazione. Usavo i personaggi dei cartelloni appesi al muro e costruivo delle storie su misura per loro. Durante l'intervallo le raccontavo ai miei compagni. E così, tra una scuola e l'altra, eccomi qui.
Eccoti qui: ma dalle storie inventate alle elementari al primo romanzo, deve essere successo per foza qualcos'altro ...
E' successo che ho fatto leggere dei miei testi a Susanna Tamaro. Lei mi ha detto che c'era del talento in me, ma che ero completamente privo di tecnica. Mi consigliò di frequentare un corso di sceneggiatura e, dopo aver vissuto per oltre 10 anni a Roma, mollai tutto per andare a Milano e seguire il suo consiglio. Il resto è storia dei nostri giorni.
Qual è la storia di Bianca come il latte rossa come il sangue, che in parte ci è stata raccontata da una polemica ospitata sulle pagine del Corriere della Sera?
Il romanzo ha avuto due anni di gestazione. E' nato dal racconto dei ragazzi di una classe liceale di Roma. Ero il loro supplente per una sola ora e mi parlarono di una loro compagna morta di leucemia l'anno prima. Non li ho mai più rivisti, ma quella storia mi è rimasta dentro. Il Corriere della Sera ha montato una polemica - che personalmente non accetto - con la madre di questa ragazza. Io non conoscevo la ragazza e non conosco neanche la madre. La signora ha riconosciuto la sua storia nel mio libro e, sebbene prima mi avesse fatto tanti complimenti, poi ha avuto un inspiegabile voltafaccia nei miei confronti e ha innescato la pubblicazione di tutti quegli articoli al riguardo. Ho già spiegato come sono andate le cose: ho preso spunto da quella vicenda, costruendoci sopra il mio romanzo. Non mi sono appropriato di niente che non appartenesse già alla vita.
Tu che lavori con loro, oltre ad averne parlato nel tuo libro, come vedi gli adolescenti di oggi?
Li vedo proprio come li decrivo. Non come l'immagine di loro che si vuole proiettare al mondo, ma come la parte spirituale che li contraddistingue. A quell'età s'indossa una maschera - più o meno spessa - che serve ai ragazzi per difendersi dal mondo. Generalmente li accusiamo di essere menefreghisti e superficiali, cosa che può essere anche vera. Ma sotto c'è dell'altro. I ragazzi cercano più realtà che reality. Spesso, siamo noi cosiddetti adulti che non siamo in grado di fornirgliela. Gli adolescenti sono tutti belli dentro. L'ideologia dell'adolescenza è un'altra cosa.
So che Bianca come il latte rossa come il sangue ha già varcato i confini nazionali ...
Sì. Il libro è uscito giovedì scorso in Spagna e io ho appena ricevuto una richiesta di traduzione per Taiwan. Dopo l'estate uscirà anche in Brasile, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Olanda, Portogallo, Russia, Serbia, Spagna, Turchia, Ungheria.
Insomma, farai un bel giro del mondo letterario ...
Il merito non è mio, ma del lavoro che sta facendo la casa editrice. Ed è anche grazie ad autori come Andrea Camilleri, Paolo Giordano e Roberto Saviano che la letteratura italiana si sta facendo largo nel mondo.
A quando il tuo prossimo lavoro?
Entro il 2012 uscirà il mio secondo romanzo. Sto scrivendo, perchè non posso stare senza scrivere. Ma non posso dirti di più, davvero.
Leggo anche quello che scrivi sul tuo blog. Che mi dici di questo diario in rete?
L'ho aperto due anni fa. E' una palestra di scrittura e del cuore. L'ho fatto per non dimenticare le cose. Scrivo anche per questo motivo. E l'ho fatto perchè è uno strumento che mi consente di stare ancora più vicino ai miei allievi. E' un modo per dare loro degli spunti di riflessione e aiutarli a guardarsi dentro.
Con le dovute differenze, sei una specie di Keating anche tu. Ma non vuoi lasciare l'insegnamento per dedicarti esclusivamente alla scrittura?
Assolutamente no. Voglio continuare a fare entrambe le cose. Insegno italiano e latino in un liceo privato di Milano. Sono un precario con la cattedra in due classi e mi va bene così, perchè riesco a vivere con continuità sia il rapporto con i ragazzi che quello con i colleghi.
Perchè hai lasciato Palermo, dopo il diploma?
Perchè volevo studiare Lettere Classiche in una delle migliori università italiane. Quella di Palermo non è esattamente tale. Pur essendo profondamente attaccato alla mia terra, ne vedo tutti i limiti e la mia vita doveva andare avanti. Dopo la laurea, ho vinto un dottorato di ricerca, ho frequentato la Sissis e mi sono inserito nelle graduatorie per insegnare...ma ho fatto tutto questo fuori dalla mia città. Con i tempi che corrono, pensare di trovare lavoro nella propria città è quasi un'utopia. Ma se capitasse l'occasione, potrei anche tornare a casa. A Milano sto bene e potrebbe anche sembrare un controsenso, ma non ho idea di cosa mi riservi il futuro.
Il tuo passato, però, ti consentirà di rispondere a questa domanda. Qual è la prima cosa che ti fa venire in mente la tua città?
Palermo è il profumo delle cose e i loro colori. Non a caso i colori sono l'anima del mio libro. Viceversa, Milano è una città praticamente inodore (per non dire che sa solo di smog). Sì, è questa la mia riposta: i profumi e i colori.
«Sicilia on line» del 24 marzo 2010

Nessun commento: