17 febbraio 2010

Viaggia in business class il capitalismo senza ali ed equità

La «provocazione» del Presidente dello Ior al mondo degli affari
di Davide Rondoni
Chissà che faccia hanno fatto. Sì, mi piacerebbe vedere che faccia hanno fatto i lettori del Sole24ore di sabato scorso, vedendo la prima pagina. Più precisamente l’articolo a destra sulla prima pagina.
Chissà che faccia han fatto banchieri, economisti, imprenditori e insomma tutto quel genere di rappresentanti dell’homo oeconomicus che è lettore abituale del foglio color salmone e confindustriale diretto da Gianni Riotta. Perché già il titolo era strano: «Il virus nichilista che contagia il capitalismo».
L’autore dell’articolo, Ettore Gotti Tedeschi, oggi presidente dello Ior, è banchiere di grande prestigio. Virus nichilista? L’autore è duro. La crisi economica non è crisi del capitalismo, ma una crisi di pensiero, innanzitutto. Il capitalismo, dice Gotti Tedeschi destreggiandosi tra sant’Agostino e papa Ratzinger, è un comportamento, se produce crisi è perché s’è fatto guidare da un comportamento sbagliato. Grande responsabilità dunque ce l’hanno i maestri di un certo pensiero, che lui indica subito: il nichilismo negando valore e realtà oggettiva, e riducendo l’uomo ad animale materiale, ha generato un sovvertimento generale delle regole, una finzione, un camuffamento.
Inutile accusare lo strumento, dice Gotti. È il pensiero di chi l’ha usato male che va individuato e condannato. Bisogna dunque «lavorare sulle idee». Il grande spreco di risorse che si è avuto in questo periodo invece che la loro valorizzazione, insiste Gotti Tedeschi, è il segno che lo strumento capitalista è stato gestito da mani male orientate. Da un pensiero errato. Allo sviluppo degli strumenti è corrisposta un’immaturità o un’evoluzione negativa del pensiero. L’articolo non si ferma a considerazioni filosofiche, ma si spinge a disegnare qualche scenario sul futuro, auspicando che per uscire dalla crisi non si ricorra a trucchi tipo bolle edilizie, bensì a un «giusto periodo di austerità condita da sobrietà dovuta, dato un benessere precedente insostenibile». Mi pare importante che sul giornale economico più autorevole trovi spazio una provocazione di questo genere. Non si tratta di un mero invito a 'essere buoni'. Non si riduce immediatamente la crisi a problema etico.
Prima del comportamento c’è la conoscenza.
E il nichilismo è un virus che conduce al terrorismo (lo aveva capito Dostoevskij), così come alla crisi del capitalismo. Si tratta dunque di un problema innanzitutto di pensiero, non di buoncostume. E qui sorge la grande questione che vedo tremolare negli occhi dei lettori, imprenditori, banchieri, manager. Forse non avevano mai pensato d’esser nichilisti. O pensavano d’esserlo magari in altri campi, e che però questo non c’entrasse con la crisi economica e con la visione degli affari. Il nichilista con la ventiquattr’ore, che viaggia in business class ,
il nichilista che sa contare velocemente i soldi, non è meno 'pericoloso' di quello che proclama idee filosofiche che aprono alla lotta di potere come unica strategia di vita. Come può un manager, un imprenditore, un uomo di affari evitare di diventare nichilista? Dove impara un modo di pensare che gli permetta di usare responsabilmente lo strumento potente che ha tra le mani? Non saranno mai le regole di per sé a insegnare un modo di pensare non nichilista. Occorrono maestri anche in economia. Maestri di pensiero. E i migliori maestri per chi è abituato a fare, a essere imprenditore e operatore saranno uomini forse di poche parole, ma che lavorando mostrano che conviene, che è più giusto ed è più bello trattare i soldi (e la vita intera) in modo non nichilista.
«Avvenire» del 16 febbraio 2010

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