20 febbraio 2010

Ma Darwin non era ateo come Dawkins

di Roberto Timossi
Sta per uscire in Italia un nuovo libro di Richard Dawkins, «Il più grande spettacolo della Terra. Perché Darwin aveva ragione» (Mondadori), nel quale l’autore sostiene le tradizionali tesi dell’apologia dell’ateismo fondato sui risultati conseguiti dalla scienza, in primis quelli dell’evoluzionismo darwiniano. A spalleggiarlo in questa impresa è Piergiorgio Odifreddi, che ieri ha intervistato Dawkins su «Repubblica». Il dialogo tra i due atei scientisti di successo è talmente inframmezzato da complimenti reciproci da ricordare una specie di minuetto settecentesco. Quanto ai temi e alle idee esposte, sono quelli tipici della propaganda dell’ateismo scientista; talmente ripetitivi che non meriterebbero di essere considerati più di tanto, se non fosse presente un postulato particolarmente insidioso: solo gli ignoranti possono continuare a credere in Dio. Partendo infatti da statistiche di cui non si cita la fonte (il 20% degli italiani negherebbe l’evoluzione della specie umana da altre specie animali, il 32% penserebbe che gli uomini sono vissuti ai tempi dei dinosauri), Odifreddi punta chiaramente a far dire a Dawkins che chi crede è in fin dei conti un «ignorante», nel senso che ignora i risultati della scienza. Questa prima conclusione, di per sé discutibile, non è tuttavia il vero obiettivo, che si coglie invece poco dopo quanto viene chiamata in causa la Chiesa cattolica come principale ostacolo all’affermarsi di una concezione scientifica del mondo. Anche qui Odifreddi sembra offrire un assist a Dawkins citando l’enciclica «Humani generis», perché probabilmente gli era apparso fino a quel momento un po’ troppo equilibrato nei suoi giudizi verso il cattolicesimo. E Dawkins a questo punto non si fa pregare più di tanto ad allinearsi alle accuse di oscurantismo verso la Chiesa. Ora, al di là di rimarcare il tono derisorio con cui Dawkins e Odifreddi trattano chi non la pensa come loro, va notato come gran parte delle loro affermazioni non abbiano molto a che spartire con quanto ci dice la scienza. La teoria dell’evoluzione non legittima la conclusione che non esista un Creatore così come non spiega compiutamente il senso dell’ordine e della tendenza alla complessità presenti in natura, ma lasciano aperto lo spazio per la riflessione filosofica e teologica. Con asserzioni come quelle di Dawkins e Odifreddi non siamo dunque in presenza di scienziati che si limitano asetticamente ad esporre una teoria, bensì con l’atteggiamento «partigiano» di chi vuol far passare delle mere opinioni personali come verità scientifiche. Non è neppure vero che la Chiesa cattolica sia contraria alla teoria dell’evoluzione. Già in un discorso tenuto da Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze nell’ottobre 1996 veniva infatti riconosciuto che la teoria dell’evoluzione non è più da considerarsi come «una mera ipotesi» e che «la convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri dagli scienziati, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria».
Constatato con serenità tutto questo, viene allora spontaneo chiedersi: perché tanto livore contro i credenti e in particolare contro i cattolici ogni volta che si trattano argomenti legati all’evoluzionismo biologico?
Mescolare così scienza e fede e con finalità strumentali non interessa certo il lavoro degli scienziati scrupolosi e ancor meno serve a debellare l’ignoranza scientifica, effettivamente ancora molto diffusa.
«Avvenire» del 20 febbraio 2010

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