15 febbraio 2010

Dante's Inferno: viaggio nell'Inferno del videogioco

di Ivan Fulco
Cosa succede quando una multinazionale americana decide di rileggere in un videogioco la prima cantica della Divina Commedia? Succede che Dante diventa un agguerrito crociato dalla mascella squadrata e dai muscoli pronunciati, armato della falce sottratta alla morte stessa e con il potere di assolvere o condannare le anime dannate. Succede che Beatrice viene ritratta come una biondina dalla pelle diafana e dai capelli piastrati, oltre che soventemente nuda, ricalcata sui canoni estetici delle teen eurasiatiche. Succede, insomma, Dante's Inferno, ovvero tutto ciò che Virgilio stesso avrebbe considerato meritevole di dannazione eterna.
La verità è che la critica non si aspettava molto di più da uno sviluppatore che, in passato, si era confrontato solo con i temi del Padrino o dei Simpson. E non stupisce che Dante's Inferno, per ragioni di copione, abbia preso la forma di un videogioco di combattimento in stile God of War, in cui il concetto di "liberamente ispirato" assume nuove accezioni. Il viaggio di Dante, più che di espiazione, diventa qui un'incursione armata sulle tracce di Beatrice, lascivamente rapita da Lucifero, in cui soggiogare a colpi di falce chiunque si frapponga sulla sua strada. I gironi infernali sono replicati con approssimazione, senza la pretesa di rispettare la complessità strutturale dell'Inferno dantesco. Ma il vero colpo di teatro è negli scontri con i boss, incarnati dai personaggi più importanti incontrati da Dante nel suo viaggio. E così è possibile imbattersi in versioni fumettosamente demoniache di Cerbero, Pluto, Minosse o Marco Antonio. O persino in un'immensa Cleopatra, prosperoso seno al vento, intenta a deridere Dante mentre orridi bimbi (non battezzati) armati di falcetto fuoriescono dai suoi capezzoli.
Difficile definirlo un omaggio. Difficile definirlo, a tratti. Eppure la deriva videoludica riesce a trovare un suo preciso punto di merito in un aspetto chiave dell'avventura. Le fasi in cui Dante, giunto davanti ai più noti peccatori dei gironi, è chiamato a giudicarli. Un breve testo descrive il peccato commesso, appena più in basso la scelta: un tasto per condannarlo, un altro per assolverlo. Per accorgersi che a volte non è così semplice disporre un destino. Qualcuno perderà alcuni secondi a riflettere davanti alle lacrime di Francesca da Polenta, qualcun altro dinanzi al corpo nudo di Semiramide. E qualcosa di sé stesso, da queste esitazioni, potrebbe persino comprenderla.
Per il resto, l'opera ultima di Visceral Games è il coerente prodotto di chi conosce i videogiochi, ma forse meno la letteratura. Jonathan Knight, produttore del gioco, ha già auspicato un seguito, pur lamentando l'assenza tra i versi del sommo poeta di una seconda discesa all'Inferno. In passato aveva sostenuto di aver preso ispirazione per il suo gioco da una mappa dell'Inferno dantesco, che pareva suggerire una perfetta struttura a livelli completa di boss finali. Interpellato dai giornalisti, che gli chiedevano se il suo team si fosse ispirato alle opere di Bosch e Bruegel, ha risposto con istinto interrogativo. Nonostante tutto, non è interamente da condannare l'operazione commerciale di Electronic Arts.
Come videogioco, Dante's Inferno è un titolo privo di idee, ma comunque ben progettato e degno di qualche ora di azione (virtualmente) violenta. La sua ricostruzione dei gironi può affascinare, così come l'incontro con personaggi ed eventi paradigmatici della Commedia. A questo si aggiungono tutte le schegge culturali che un simile progetto porta conficcate fuori e dentro il codice binario. I versi occasionalmente recitati dai protagonisti. La biografia breve di Dante accessibile tra i contenuti extra. Persino la riedizione della Divina Commedia, nella traduzione di Henry Wadsworth Longfellow, pubblicata negli Stati Uniti da Random House per celebrare l'uscita del gioco.
Ma soprattutto, Dante's Inferno ha la virtù (o la colpa?) stessa di esistere. E quindi di poter essere videogiocato da teenager a stelle e strisce che, fino a un istante prima, ritenevano che Dante fosse solo il commesso di Clerks. Una specie di microindotto culturale che, per quanto i puristi possano inorridire, riuscirà a far risuonare i temi della Commedia anche in luoghi che culturalmente gli erano preclusi. Sarà giusto così? A chi legge, la risposta. Premete un tasto per assolvere, un altro per condannare.
«L'Unità» del 15 febbraio 2010

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