30 gennaio 2010

Paesi veri, nazioni fasulle

Non si dà tradizione alcuna senza un atto di volontà intellettuale. Non è affatto negativo amare e rispettare le tradizioni: è deleterio ritenere che esse abbiano una scaturigine metastorica ed «eterna»
di Franco Cardini
Il medievista Patrick Geary porta un nuovo contributo alla comprensione del dinamismo delle identità nazionali
È inattuale la polemica sull’idea di nazione? Lo avremmo ritenuto sicuro, almeno fino a qualche anno fa. Ma oggi i temi dell’« identità » e del « radicamento » sono diventati molto comuni nella pubblicistica e nella propaganda politica, mentre nuove « nazioni » o pretese tali sorgono all’orizzonte. Si stanno perfino profilando forme di « neonazionalismo » , demagogiche e artificiali quanto si voglia, che minacciano però sul serio l’equilibrio della nostra vita sociale: se non quella di adesso, quella di domani. E allora è necessario far chiarezza.
Si deve a uno dei migliori studiosi dei quali il nostro Paese disponga, il medievista Giuseppe Sergi dell’Università di Torino, la messa a punto con il romano editore Carocci di un ampio progetto editoriale il cui scopo è l’indagine puntuale – e weberianamente « disincantata » – dei grandi temi di quell’Europa medievale che corrisponde al periodo (mitico?) nel quale oggi molti (troppi?) pretendono di rintracciare le loro ' radici'. I fini del Sergi sono senza dubbio anzitutto scientifici: ma non guasta per nulla che egli accosti ad essi anche uno scopo nobilmente civico, quello di combattere l’uso politico e demagogico della storia.
In questo contesto è stato quanto mai opportuna la traduzione di un denso volume di Patrick Geary, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, che sotto molti aspetti è sul serio rivelatore sia delle effettive connotazioni di quel ch’è stato un autentico mito ( e una vibrante passione) dell’Europa otto-novecentesca, l’idea di nazione. Il Geary, medievista dell’University of California ­Los Angeles, è noto al pubblico italiano soprattutto per il bel libro Furta sacra. La trafugazione delle reliquie nel medioevo ( Vita e Pensiero, 2000).
Tutti ricordano la stentorea esclamazione del generale giacobino Kellermann, il 20 settembre del 1792, sul fatidico campo di battaglia di Valmy: « Vive la nation! » . Da lì cominciò sul serio, come sentenzia sulla scia di Goethe il vecchio Giosuè Carducci, « la novella istoria » . Ma in che senso?
È arcinoto a tutti che gli unni erano guidati nel V secolo da Attila, e che alla fine del medesimo secolo gli ostrogoti ebbero un grande sovrano in Teodorico. Ma chi erano in realtà gli unni? E che cosa concretamente, sul piano geostoricolinguistico, significava essere goto? E i franchi di Clodoveo e poi di Carlomagno, con precisione, chi e che cos’erano?
Se la « nazione » è, nel concreto, unione di un gruppo etnolinguistico coerente e compatto e di un territorio avvertito come sua « madre­terra » , le sue origini non solo non sono affatto medievali, bensì corrispondono a un’astrazione – e a una mistificazione – avviata tra Sette e Ottocento. È necessario tornare alla lucida lezione impartitaci anni fa da Eric Hobsbawm: le « tradizioni » s’inventano, anzi non si dà tradizione alcuna senza un atto di volontà intellettuale, un’« invenzione » appunto, e qui sta il loro valore dinamico.
Non è affatto negativo amare e rispettare le tradizioni: è infame e deleterio ritenere che esse abbiano una scaturigine metastorica ed « eterna » ; anzi, il loro senso più alto sta nel rinnovarsi di continuo. Ma proprio per questo esse debbono esser tenute al riparo dalle mistificazioni.
Le nazioni medievali erano senza dubbio portatrici di una forte identità comunitaria e giuridica: seguire la « legge » franca o longobarda non era una finzione.
Tuttavia, esse erano il risultato di un processo dinamico continuo, nel quale gruppi etnoculturali diversi si incontravano e si confrontavano di continuo mentre le ondate delle migrazioni e il carattere fondamentalmente sperimentale delle costruzioni societarie proposte in un lungo periodo che potremmo grossolanamente situare tra II e X secolo d. C. ( ma con precedenti anche più antichi, e conseguenza anche molto vicine a noi) s’incaricavano di confrontarsi con una tradizione giuridico- politico­istituzionale che l’eredità romana, l’attività ecclesiale e l’apporto etnico delle varie popolazioni « barbariche » avevano contribuito a configurare. Quelli che il Geary definisce con efficacia e con rigore « i miasmi del nazionalismo etnico » hanno troppo a lungo avvelenato l’atmosfera della storia moderna e contemporanea celandosi dietro l’alibi di una pretesa realtà identitaria proveniente dalle scaturigini medievali. Qui sta l’opportunità di un libro che serve egregiamente a spiegarci le vicende europee dell’Alto medioevo, ma è un utilissimo vademecum anche per tenerci al riparo dalle mistificazioni contemporanee.
Patrick Geary, IL MITO DELLE NAZIONI. LE ORIGINI MEDIEVALI DELL’EUROPA, Carocci, pp. 196, € 18,70


«Avvenire» del 30 gennaio 2010

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