06 gennaio 2010

Oltre l’imprevedibile

Finite le illusioni deterministiche, restano le divinazioni. E la sfida di saper credere
di Giuseppe O. Longo
Da sempre l’uomo è curioso del proprio futuro e scruta con ansia nelle brume del tempo cercando di scorgere il destino che l’attende. Questo bisogno è stato di volta in volta inseguito con metodi e strumenti diversi per lo più basati su credenze magiche o superstiziose, dagli oracoli alla divinazione all’interpretazione dei sogni. Con l’affermarsi del metodo scientifico, l’indagine della natura offrì per lo studio del futuro basi solide e strumenti matematici. Un risultato interessante, sotto il profilo psicologico, del metodo scientifico fu la fiducia di riuscire un giorno a fare previsioni esatte sul comportamento di porzioni sempre più vaste dell’universo.
Questa convinzione fu alla base del determinismo estremo espresso con queste parole da Pierre-Simon de Laplace (1749-1827): «Un’intelligenza che, in un dato istante, potesse conoscere con precisione lo stato dell’universo e che fosse abbastanza grande da sottoporre questi dati all’analisi, potrebbe ricavarne l’evoluzione dei più grandi corpi e dell’atomo più leggero: nulla ne risulterebbe incerto, l’avvenire come il passato sarebbe presente ai suoi occhi». E, prosegue Laplace, così come la scienza sta dissolvendo le brume del caso e dell’incertezza per quanto riguarda i fenomeni fisici, altrettanto farà per quanto riguarda le faccende umane: tutto sarà determinato da leggi ferree e universali. Ma il sogno di Laplace si è rivelato illusorio: non solo il libero arbitrio degli umani sembra porre limiti invalicabili alla previsione esatta, ma la scoperta, compiuta dalla meccanica quantistica, che negli alveoli della materia si annida un’indeterminazione ineliminabile ha fatto svanire l’illusione di una conoscenza perfetta del futuro anche nel campo delle scienze esatte: figuriamoci poi della storia e della politica.
Ma agli umani non interessa tanto il destino del mondo o dell’umanità quanto il futuro, soprattutto immediato, dei singoli individui. Ciò li spinge ad affidarsi agli oroscopi – e di ciò approfittano i ciarlatani – ma anche alle previsioni stilate con sicumera da consulenti finanziari e guru dell’economia, questi ultimi (ammesso che siano in buona fede) ammantandosi di una veste "scientifica" alquanto dubbia, dalle cui numerose falle spirano le premesse di crisi molto più devastanti di quelle che possiamo imputare ai maghi (è significativo che nel suo recente discorso il Pontefice abbia, in qualche modo, avvicinato maghi ed economisti).
La credulità sembra tuttavia una componente inestirpabile della natura umana, spesso refrattaria anche alle controprove più plateali: chi crede ai maghi non si farà scoraggiare dalle smentite a posteriori, quindi gli sforzi per dimostrare l’inconsistenza degli oroscopi sono del tutto inutili, anche perché i creduloni provano spesso un vero e proprio godimento, come i giocatori d’azzardo o i cocainomani. Per converso, chi non ci crede non ha bisogno di confutazioni. Che cosa indica la diffusione crescente di queste pratiche nei giornali e nei programmi radio e televisivi? Si tratta di un semplice passatempo, è una delle tante manifestazioni della volgarità galoppante all’insegna degl’indici d’ascolto, oppure è il sintomo di un’insoddisfazione di fondo, di un’ansia che trova sbocchi impropri e che dovrebbe essere indirizzata verso qualche approdo più elevato?
Voglio indicare un possibile aspetto positivo della credulità: uno scettico totale e granitico non si fiderebbe di nessuno, non si aprirebbe all’altro, sarebbe incapace di slanci e di compassione, sarebbe fuori del consorzio umano. Chi invece è capace della sospensione del dubbio può aprirsi alla fiducia e, anche, alla fede: ecco l’approdo più alto cui bisogna tendere.
«Avvenire» del 5 gennaio 2010

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