23 gennaio 2010

Intellettuali, la casta inutile

Esce «I conformisti», nuovo libro di Pierluigi Battista: un atto d'accusa contro l'intolleranza ideologica
di Ranieri Polese
A destra e a sinistra, tutti organici e allineati. E gli irregolari sono estinti
Organici, allineati alle direttive del potere, a volte anche poetici nel loro entusiastico assenso, gli intellettuali conformisti si sono macchiati di molte colpe nel secolo passato. A destra (Heidegger, Céline, Drieu La Rochelle) e a sinistra (Lukács, Sartre, Brecht), ugualmente abituati a non vedere il male e l' orrore della parte in cui militavano e invece sempre pronti ad attribuire ogni nefandezza al campo avverso. Quello stesso secolo, il Novecento, dice Pierluigi Battista, non ha dato spazio agli irregolari, a quelli che - Camus, Bernanos, Orwell, Simone Weil - preferirono «tradire la loro appartenenza per non tradire se stessi», per non diventare complici di una menzogna. Gli uni e gli altri sono vissuti in tempi bui, nelle stagioni funeste dei totalitarismi, degli stermini, delle guerre calde e fredde: un fatto che, se non basta certo a giustificare i primi, fa capire bene l'isolamento e lo sgomento dei secondi. Con l'89, comunque, tutto questo doveva finire. Caduto il Muro, crollata l'Unione Sovietica, anche le ideologie andavano in frantumi. Ci si poteva dunque attendere che, terminato il Secolo breve, nel campo della cultura non ci fosse più un clima di guerra civile, che la distinzione tra nemici e compagni, l'accusa di tradimento, il calcolo del «fare il gioco di» non avessero più cittadinanza. E invece no. Lo scontro è ancora all' ordine del giorno in nome di un supposto «bipolarismo culturale»: l'anticomunismo in assenza di comunismo contro l'antifascismo in assenza di fascismo. Con il risultato di trovarsi di fronte a due conformismi che riesumano tutto l' armamentario di sospetti, sabotaggi, complotti delle stagioni più cupe del Novecento. Osservatore quotidiano del passato che non passa, Pierluigi Battista raccoglie nei suoi articoli i segnali di questa battaglia. E ora, con il libro I conformisti (Rizzoli), prova a tracciare un panorama della nuova-vecchia intolleranza di questi ultimi quindici anni («anni perduti, di vuoto assoluto e conformista»), ovvero gli anni che vanno dal primo governo Berlusconi a oggi; di fatto, gli anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Reduce da un grosso lavoro di ricerca sul silenzio di tanti intellettuali italiani sul proprio passato fascista (Cancellare le tracce, Rizzoli 2007: ben 86 pagine di note e fonti su un totale di 191), Battista si interroga sulle cause di questa situazione di persistente conflitto. E individua uno dei motivi, il più forte, proprio nell' omesso riconoscimento del proprio passato. Passato di destra (il caso Grass, che solo nel 2007 ricorda di essersi arruolato giovanissimo nelle SS; e con lui tutti i Grass italiani, che hanno occultato i propri rapporti con il regime) e di sinistra (ovvero tutti i comunisti che oggi si dichiarano «post», non mettendo così in discussione il periodo in cui chiudevano gli occhi su gulag e altri misfatti sovietici). Un rimosso pesante che freudianamente ritorna sotto forme assurde, dalla paranoia complottista all'acritico sdoganamento in blocco del Futurismo (non tanto le opere di Boccioni, Balla, Sant'Elia, ma i proclami goliardici di Marinetti). Resta, in questo quadro, una costante. L' odio per l' ex, ancora additato come traditore. E poco importa se il «post» non ha nemmeno provato a fare i conti col passato, a riconsiderare i propri errori di giudizio. Tra la via di Sant'Agostino e quella di Rousseau, l'intellettuale italiano - scrive Battista - ha sempre scelto la seconda. Agostino confessava di aver speso una parte della sua vita nel peccato e nell'errore, da cui poi ha impegnato tutte le sue forze per emendarsi. Rousseau invece attribuiva ogni male e ogni colpa alla società. Da qui discende l'abitudine all'autoassoluzione, e quindi la demonizzazione dell'avversario per la cui distruzione ogni mezzo diviene lecito. Gente fragile, gli intellettuali. E non solo quelli italiani. Autoproclamatisi élite pensante e quindi guida del popolo, hanno sempre avuto molta indulgenza sui propri passi falsi. E non si parla solo di Heidegger e Brecht, tanto per citare i due capifila delle opposte fazioni: filonazista il primo, filostalin il secondo. Anche i cosiddetti irregolari hanno delle cadute. Battista ricorda il documento pubblicato da una rivista ceca che svelerebbe una delazione di Kundera ai danni di un oppositore del regime socialista, arrestato e finito in un campo di concentramento per 14 lunghi anni. La reazione dello scrittore e dei suoi amici (hanno accusato la rivista di cercare infame sensazionalismo) non ha purtroppo smontato la «prova». Ma anche nella vita di Silone e di Orwell, si deve ricordare, non mancano ombre: il primo inviava rapporti alla polizia politica fascista, per salvare il fratello in carcere; il secondo passò ai servizi britannici una lista di nomi di intellettuali comunisti (e omosessuali).
Certo, nel suo libro Battista dedica molte più pagine agli intellettuali di sinistra, come il Nobel Saramago che, in nome delle libertà di espressione, insorge contro le proteste in Spagna per un libro fotografico che mostra immagini porno di Maria e Gesù, ma un anno prima aveva condannato come «irresponsabile» l'autore delle vignette satiriche sull'Islam apparse su un giornale danese (lo stesso disegnatore è stato aggredito pochi giorni fa). C'è Bernardo Bertolucci con il «processo ai padroni» del finale di Novecento. C'è la «bella utopia» di Moni Ovadia, e ancora Cesare Cases, Rossana Rossanda, Gianni Vattimo e via elencando. Si riaprono casi tragici, come il rogo di Primavalle (aprile '73) in cui morirono due figli del segretario della sezione del Msi e che la stampa di sinistra attribuì a un commando fascista. Ma nel 2005, Achille Lollo, all'epoca militante di Potere Operaio, avrebbe ammesso di aver appiccato il fuoco con altri due di Potop. Si arriva al silenzio recente, sempre da sinistra, sull'assassinio del regista olandese Theo van Gogh, reo per i fondamentalisti islamici di aver prodotto un film sulla sottomissione della donna nel mondo musulmano. Stessa indifferenza, dice Battista, per Ayaan Hirsi Ali, l'autrice della sceneggiatura del film di van Gogh e del libro Infedele che l'Olanda multiculturale ha in pratica costretto all' esilio negli Stati Uniti. Così come nessuno «ha alzato un dito» per difendere il diritto di esprimersi dell' iraniana Azar Nafisi. Sì, ma a destra che cosa si fa? La diagnosi di Battista è lapidaria: se «la cultura di sinistra ha smesso di pensare, quella di destra non riesce nemmeno a cominciare». E come riprova, ecco l' episodio di Katyn, il film del polacco Wajda sull'eccidio di oltre 20 mila ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici, che il regime comunista di Varsavia volle far credere opera dei nazisti. La pellicola, rifiutata dai maggiori distributori italiani, ha avuto grande spazio sulla stampa per le accuse di censura ai danni di un'opera che raccontava una tremenda pagina della storia del comunismo. Poi, però, quando è uscita - seppure in poche copie - ha incassato pochissimo (397 euro a copia). Forse perché, suggerisce Battista, è passata l'idea che, morto il comunismo, l'anticomunismo non ha più richiamo. O perché appelli e proclami ormai non fanno più effetto. E gli intellettuali, destra o sinistra poco importa, sono ormai divenuti figure inutili, chiusi in un loro piccolo mondo di litigi rituali, senza più nessun appiglio con la realtà.

Il nuovo libro di Pierluigi Battista («I conformisti. L'estinzione degli intellettuali d'Italia», Rizzoli, pp.224, 18) sarà in libreria da mercoledì. Editorialista del «Corriere della Sera» (di cui è stato vicedirettore) Battista aveva già pubblicato per Rizzoli «Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo» (Rizzoli, 2007), un'analisi sulla tendenza di molti maître à penser ad occultare i propri trascorsi.
«Corriere della Sera» del 11 gennaio 2010

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