04 gennaio 2010

Il Sud organizza il "No Lombroso Day"

Gli ex sudditi del Regno delle Due Sicilie hanno creato un gruppo su facebook contro il museo del criminologo ottocentesco: "Teorizzò la nostra inferiorità". E preparano la marcia su Torino
di Daniele Abbiati
Cesare Lombroso era di origini ebraiche. Ma oggi, a oltre un secolo dalla sua morte, a dargli addosso non sono (per fortuna di tutti) orde di naziskin con la bava alla bocca. Niente svastiche e niente braccia tese nel saluto hitleriano: il movimento avverso all’antropologo criminale che sta montando con un gruppo numeroso su Facebook (circa 2000 membri) se dovesse scegliere un simbolo, propenderebbe forse per il simpatico Pulcinella. Tuttavia, c’è poco da ridere, la questione è seria e, guardacaso, si pone proprio mentre ferve il dibattito sull’Unità d’Italia, appressandosi le celebrazioni per il centocinquantenario.
Ad accendere la miccia di una Fuorigrotta polemica contro l’autore di L’uomo delinquente e Genio e follia è la recente apertura, a Torino, del museo che presenta il suo ricchissimo archivio, con tanto di crani, armi, abiti, maschere mortuarie... E, soprattutto, un concetto che serpeggia lungo tutta la produzione lombrosiana, vale a dire la presunta inferiorità dell’uomo meridionale rispetto a quello del Nord. «Quel museo - sostengono i promotori dell’iniziativa di boicottaggio della “galleria degli orrori” piemontese - contiene studi utilizzati dagli stessi nazisti e ormai smentiti nettamente dalla scienza ufficiale. Cesare Lombroso, infatti, teorizzò l’inferiorità della “razza meridionale”, che sarebbe stata geneticamente portata alla delinquenza».
E a questa conclusione giunse «sulla base di misurazioni di centinaia di resti e di crani prelevati al seguito delle truppe piemontesi che invasero il Regno delle Due Sicilie e massacrarono migliaia di meridionali che si erano ribellati a quell’invasione cancellandoli dalla storia come “briganti”». Non è tutto: «I “neoborbonici” chiedono al ministro Alfano la restituzione dei resti dei “briganti” meridionali». Non siamo alla sommossa. Nessuno si sogna di imbracciare lo schioppo e di marciare sulla capitale sabauda per lavare con le armi la grave onta subita. Ma, inserita nel contesto della sempiterna diatriba Nord-Sud, la presa di posizione è destinata a fare più rumore di un innocuo borbottio del Vesuvio. L’orgoglio mediterraneo alza la voce: «Organizziamoci per una manifestazione da tenere a Torino presso il Museo sito in Via Pietro Giuria 15 entro Gennaio 2010. Sarà una buona occasione anche per ricordare (nella città sede di Casa Savoia) la colonizzazione subita dal Meridione ad opera di “ITALIAUNITA S.P.A”, succursale Sabauda della Massoneria e del Grande Capitale». Come si vede, la carne al fuoco è tanta, e fa pensare al bollito misto, non a caso una specialità piemontese, piatto gustoso, ma pesante. Conviene ricordare, allora, che le fonti alle quali Lombroso attingeva per i suoi studi criminologici, in un’Italia dominata dall’ideale positivista e dall’illusione di tutto catalogare e tutto sistematizzare, piegando spesso e volentieri i fatti alle opinioni, erano due: il carcere e il manicomio.
L’antropologia, allora, non scendeva nelle strade, non frequentava gli stadi, le discoteche, le scuole. E la televisione, che oggi sappiamo essere il più grande catalogo vivente di «tipi» cui attingere, era di là da venire. Se a ciò aggiungiamo che anche allora il Paese viaggiava a due velocità, con il Nord che, per quanto ancora diffusamente agricolo e arretrato, si avviava all’industrializzazione e il Sud che rimaneva quasi tutto ancorato alla ruralità, comprendiamo come fosse facile, per una scienza immatura, aggrapparsi ai ruvidi pastrani dei briganti calabresi o lucani. E se le prove documentali mancavano? Ci si rivolgeva altrove. Lo dimostra il seguente episodio che sarà musica per le orecchie dei meridionali del nascente «No L. Day». Una volta Lombroso chiese al capo della polizia parigina fotografie di donne delinquenti per illustrare un’opera.
Quando il libro fu pubblicato, egli ne inviò una copia a Parigi. Soltanto allora i destinatari del grazioso omaggio si accorsero dell’errore commesso: all’italiano, invece delle immagini di pericolose criminali, erano state inviate quelle di alcune commercianti che avevano chiesto licenza di vendita. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.
«Il Giornale» del 4 gennaio 2010

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