05 gennaio 2010

Facciamo dialogare economia e cultura

Il riallineamento dei due «mondi» fa parte della migliore tradizione del capoluogo
s. i. a.
Da pochi giorni Milano ha superato con le sole mostre organizzate dal nostro Comune un milione e 400mila presenze. Mai nella storia di queste istituzioni culturali si era oltrepassato un numero così significativo. Ben oltre il 30 per cento degli afflussi rispetto all’anno precedente che, a sua volta, era stato un anno record. Esulto, ma non mi sento appagato.
Che cosa sono questo milione e 400mila visitatori? La domanda non credo sia banale, né faziosa perché vuole sottrarre questa cifra alla sola dimensione economica e ampliare il discorso al rapporto fra città e cultura, teatralizzandolo.
Questo milione e 400mila visitatori sono 2 milioni e 800mila occhi che vedono milioni di idee, informazioni ed emozioni. Infine, conoscenze. Scriveva Savinio in Ascolto il tuo cuore, città: «L’arte viene da lontano e va lontano. Questo è il fascino dell’arte e la ragione perché la gente le si affolla intorno, la guarda come si guarda un viaggiatore che torna da paesi lontanissimi e dal quale si aspettano racconti meravigliosi». Questa citazione nasconde fra le righe la sfida del nostro tempo. Attiene certamente alla conoscenza, ma anche al modo in cui la si guarda, la si ascolta, ai suoi «racconti meravigliosi».
Se le idee divengono, infatti, informazioni e queste ultime vengono messe in rete e adeguatamente organizzate è possibile, oltre che urgente, la convergenza delle conoscenze. Come si colloca Milano in questa prospettiva? Da un lato ri-allineando la Milano economico-finanziaria con quella culturale, tema che implica una riflessione sulla situazione nazionale. Larga parte delle cause del dis-allineamento passato sono difatti ascrivibili a un atteggiamento ostile di una certa «cultura», incapace di cogliere dell’economia e della finanza comunque un’azione in grado di trasformare i problemi in opportunità. Ne è così conseguita una separazione della cultura dalla creatività, rinviando la prima all’autoreferenzialità e la seconda alla «strumentalità». Ma se noi estendiamo il concetto di cultura a creatività possiamo abbracciare forme di sapere e pratiche quali pubblicità, moda, design, audiovisivi in grado di rendere Milano (ma direi l’Italia intera), una potenza culturale capace di crescita estetica ed etica attraverso attività produttive ad alto valore simbolico.
D’altro lato, vi è un secondo ragionamento da svolgere. Se la creatività milanese e italiana rappresentano la cultura, percepiamo perché la nostra immagine è più significativa e suggestiva all’estero che in patria. È una creatività che si declina tramite tradizioni e tecniche assai rigorose e riconoscibili. Utile, dunque, offrire un esempio emblematico con la Scala. Invitata in tutto il mondo e foriera di successi straordinari sulla scena internazionale, non riesce ancora a farsi riconoscere come teatro nazionale del Paese. Ora è evidente che servono nuove formule per vivificare le nostre politiche culturali. A me pare che ciò che ho coniato con la formula delle «tre lettere G» (genio; gratuità; gente) possa oggi dare delle risposte, seppure parziali. Utile, ancora, un esempio esplicito: i 180mila visitatori che hanno fatto la fila per assistere all’esposizione del San Giovanni Battista di Leonardo corrispondono a queste tre «G»: il genio è Leonardo (e non l’opera); la gratuità è l’effetto di un diverso rapporto pubblico-privato finalmente funzionante (nella fattispecie con Eni); la gente è espressione di una democrazia cognitiva in movimento verso un bisogno di sapere universale.
Perciò, non dobbiamo aggirare i dilemmi della società complessa, globale, multidimensionale, la quale costituisce, al contrario, la grande opportunità per un pensiero sistemico e una nuova riforma della conoscenza.
«Il Giornale» del 5 gennaio 2010

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