17 dicembre 2009

Libertà di critica e confronto leale

Come tornare a un clima civile
di Sergio Romano
Vi sono attentati, per quanto insa­ni e feroci, che hanno un dise­gno e rispondono alla stra­tegia di una forza politica. Così furono gli attentati anarchici contro re, regine e presidenti fra l’Ottocen­to e il Novecento, da quel­lo di Sante Caserio contro il presidente francese Car­not nel 1894 a quelli di Lui­gi Lucheni e Gaetano Bre­sci contro l’imperatrice Eli­sabetta e Umberto I nel 1898 e nel 1900. Ma ve ne sono altri che sono soltan­to opera di un folle, prigio­niero delle proprie osses­sioni. Anche questi, tutta­via, possono essere perico­losi quando, pur senza pa­dri, hanno un gran nume­ro di complici involontari. Il presidente della Repub­blica ha ragione quando ci richiama all’ordine e ci ri­corda che abbiamo tutti l’obbligo di essere in que­sto momento «allarmati». Nessuno ha guidato la ma­no dell’attentatore di piaz­za del Duomo, ma molti sono coloro che hanno concorso a creare il clima in cui la violenza è diventa­ta possibile.
Occorre quindi che tutti facciano un esame di co­scienza e controllino d’ora in poi le loro parole. Esi­stono maggiori responsa­bilità da una parte o dall’al­tra? Può darsi, ma il compi­to di accertarlo toccherà ad altri, più tardi. Oggi ciò che conta non è la punti­gliosa rivendicazione del­le proprie ragioni, ma la re­staurazione di un clima ci­vile. A giudicare da ciò che è accaduto ieri alla Came­ra, prevale invece, sia nel­l’opposizione che in certi settori della maggioranza, il desiderio di utilizzare po­liticamente l’attentato per dimostrare le colpe e le re­sponsabilità del «nemi­co ». Assistiamo così a un nuovo paradosso. Tutte le forze politiche nazionali condannano il gesto di piazza del Duomo e si ralle­grano del suo fallimento. Ma parecchi lo usano per continuare il pericoloso gioco delle accuse recipro­che e rischiano di prepara­re in questo modo altri scoppi di violenza.
La tregua ha un senso naturalmente soltanto se costruita su un’intesa. Nes­suno può chiedere alla maggioranza e all’opposi­zione di rinunciare ai loro rispettivi programmi sul­l’agenda politica del mo­mento, dai modi per fron­teggiare la crisi alle misu­re sull’immigrazione, dal testamento biologico alla riforma del sistema scola­stico e universitario. Su questi temi è giusto che governo e opposizione si combattano e si contraddi­cano, anche duramente. Ma esistono altre questio­ni — il federalismo, il nuo­vo Senato, la riduzione dei parlamentari, i poteri del premier, la nomina e la re­voca dei ministri, la rifor­ma dell’ordine giudiziario — su cui devono lavorare insieme.
Il presidente del Consi­glio sostiene che la Costitu­zione è invecchiata, e ha ragione, anche se dovreb­be evitare di attaccarne du­ramente gli organi. Ma esi­ste davvero qualcuno, nel­la maggioranza, che voglia ripetere l’esperienza del precedente governo Berlu­sconi, quando una rifor­ma votata soltanto dalla coalizione di governo è sta­ta bocciata dal Paese? Invo­care la riforma della Costi­tuzione senza creare le condizioni perché divenga possibile è un inutile eser­cizio retorico e, peggio, una pericolosa perdita di tempo. Berlusconi avreb­be detto a Fedele Confalo­nieri, dopo l’attentato, che vi sono situazioni in cui da un male può sortire un be­ne. Se da questa brutta sto­ria potesse venire un ac­cordo per la riforma delle istituzioni, tutti, per una volta, ne usciremmo vin­centi.
«Corriere della sera» del 16 dicembre2009

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