22 dicembre 2009

Così il parlamento mediatico ha cambiato cultura e politica

Ai vertici del nuovo sistema televisioni, quotidiani e web
di Francesco Alberoni
Negli ultimi quarant'anni è avvenuta una rivoluzione culturale. Prima la cultura era una piramide al cui vertice c'erano i grandi filosofi, gli studiosi, i registi, i romanzieri che studiavano, analizzavano la vita umana e indicavano mete e valori. Le loro opere, i loro libri venivano letti e discussi dalle persone colte e da esse il sapere si riversava su tutta la popolazione in pubblici dibattiti, nei quotidiani, alla radio, alla televisione. Essi potevano avere posizioni politiche diverse, ma avevano una base culturale comune per cui si rispettavano e si capivano. Oggi la piramide culturale è scomparsa, al suo posto c' è un grande palcoscenico mediatico formato dalle televisioni e, a distanza, dai quotidiani e dal web. In questo palcoscenico i protagonisti sono i grandi conduttori televisivi, i politici ed i commentatori politici importanti, i divi dello spettacolo e dello sport, alcuni intellettuali e gli specialisti del gossip. Vi entrano poi, volta per volta, i personaggi che balzano alla ribalta della politica, della letteratura, del cinema, della cronaca nera e di quella scandalistica. Sono un migliaio di persone, che ritroviamo dappertutto, negli spettacoli come nei talk show dove si invitano a vicenda. Le riviste femminili completano il quadro parlando dei loro amori, divorzi, figli e amanti. Queste persone costituiscono un vero e proprio «parlamento mediatico» in cui si espongono idee, si sostengono opinioni, si affermano valori, si propongono modelli di comportamento in tutti i settori: politica, arte, scienza, educazione, medicina, spettacolo. È avvenuto un immenso processo di «democratizzazione e massificazione» della cultura. In questo «parlamento mediatico» vi sono molti centri di potere che competono fra loro e prevale chi ha più audience così come nelle elezioni politiche prevale chi ha più voti. Alcuni leader di questo «parlamento» hanno un potere di influenzamento molto più alto di un ministro dei Beni culturali o della Pubblica istruzione, ma nessun politologo ha mai fatto uno studio di questo potere e nessuno sa dirci che fondamento di legittimità abbia. Ed è peccato perché in questo modo non riusciamo a capire chi conta veramente nella cultura italiana e ne ha la responsabilità. Togliamoci comunque dalla mente l'illusione che al vertice ci sia ancora l'alta cultura o l'università o gli uomini politici che ne sono diventatati essi stessi ormai totalmente prigionieri.
«Corriere della Sera» del 21 dicembre 2009

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