20 novembre 2009

L'ultima follia: sono i figli dei poveri a produrre l'effetto serra

Azzardo di un'agenzia ONU
di Elio Maraone
Il mondo, in parte, è detestabile perché è sor­damente uguale a se stesso, ovvero ancora­to a pregiudizi irremovibili, a princìpi cultura­li, nel fondo, antropofagi. Per esempio, e men­tre si è appena sopito - grazie anche all’etica­mente e scientificamente indiscutibile inter­vento alla Fao di Benedetto XVI – l’apocalitti­co allarme sulle risorse alimentari della Terra, ecco che, in vista del Vertice sul clima di Co­penaghen, tornano a farsi sentire gli alfieri di una corrente mai morta del pensiero che risa­le a Thomas Malthus (Saggio sul principio del­la popolazione, 1798) e che, semplificando, può essere riassunto nel motto: 'Siamo trop­pi sul Pianeta, diamoci un taglio'. Si sperava che le teorie malthusiane meritassero e defi­nitivamente meritino la liquidazione invoca­ta tra i primi da Karl Marx (con un perentorio «stupidaggini infantili»), macchè.
Il Rapporto 2009 del Fondo delle Nazioni U­nite per la popolazione (Unfpa) sostiene che (usiamo le parole di Le Monde in prima pagi­na) «occorre con urgenza aiutare le donne a fa­re meno figli per lottare contro il pericolo cli­matico ». giacché, secondo quel rapporto, «la natalità galoppante dei Paesi in via di svilup­po sarebbe uno dei principali motori di ri­scaldamento e uno dei primi rischi di questo». Come a dire, e sintetizzando: meno nascite nei Paesi poveri vuol dire meno emissioni di ani­dride carbonica, dunque meno rischi per il cli­ma. Insomma , per ragioni ideologiche e mol­to probabilmente pratiche (come la ricerca di nuovi finanziamenti per la pianificazione fa­miliare nei Paesi in via di sviluppo dopo il di­simpegno economico di molti, a cominciare dagli Stati Uniti), l’Unfpa tenta di introdurre nel dibattito la questione demografica, pratica­mente assente sia dai rapporti dei gruppi in­tergovernativi d’esperti sull’evoluzione del cli­ma (Giec) sia dalle correnti trattative interna­zionali in materia. La vicenda potrebbe magari apparire secon­daria quando, e dopo l’allarmismo degli anni Sessanta, gli esperti oggi convengono che la cosiddetta bomba demografica non è esplosa e non esploderà. Ma per questo non è da sot­tovalutare l’impegno, diremmo l’ossessione, anche con un implicito contenuto razzistico, con i quali alcuni movimenti e organizzazioni insistono per la 'pianificazione familiare' nei Paesi poveri. Stavolta si sostiene che frenare la crescita demografica permetterebbe non sol­tanto a quei Paesi di uscire dalla povertà (fat­to, secondo noi, tutto da verificare), ma anche di ridurre le loro emissioni di anidride carbo­nica, dunque di correre meno rischi legati al cli­ma. «Modi sostenibili di consumo e di produ­zione – sentenzia l’Unfpa – non possono esse­re raggiunti e mantenuti se la popolazione non rimane entro un numero ecologicamente so­stenibile ». Bontà sua, l’Unfpa sostiene inoltre che sono necessarie anche politiche di soste­gno alle persone, nonché la promozione pla­netaria dei diritti umani, a partire da quelli del­le donne, prime vittime di ogni sorta di viola­zione e parte essenziale dello sviluppo di qua­lunque società. Giuste parole, se non fosse per la vena sotterranea che le percorre, e che, se venisse del tutto allo scoperto, se fosse spinta alle estreme conseguenze, porterebbe a dar ra­gione a quegli ecologisti ultrà che propugna­no lo sterminio dei bovini perché esagerati pro­duttori di metano e addirittura di ogni altro mammifero, uomo compreso, pur di salvare il pianeta. Ma, è bello ricordarlo alla vigilia del­la Giornata per l’infanzia, un bambino deve poter respirare liberamente e soprattutto non è carne da macello, come con paradossale, su­prema ironia cercava di far capire Jonathan Swift (Una modesta proposta..., 1729) ai suoi a­vidi, egoisti, pre-malthusiani conterranei.
«Avvenire» del 20 settembre 2009

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