27 novembre 2009

Lévi-Staruss: e l'Occidente fu relativista

di Jean-Claude Guillebaud
Nelle ultime settimane si è reso un giusto omaggio a quel grandissimo pensatore che fu Claude Lévi- Strauss. Alla celebrazione unanime mi piacerebbe aggiungere un’osservazione più distaccata. Un grande intellettuale non è responsabile dell’uso che talvolta si fa del suo pensiero. È un dato di fatto che quello di Lévi- Strauss fu a lungo strumentalizzato e messo al servizio di un relativismo ambiguo. Proviamo a ricordare. Negli anni Sessanta e Settanta un turbamento mortifero ossessionava il pensiero europeo. Un rifiuto di sé alimentato dal ricordo degli ammazzamenti del 1914-18, dei massacri hitleriani o staliniani, di Hiroshima, del grande peccato coloniale. La sinistra e la gioventù furono depositari di un immenso rimorso. Fu quel rimorso a far nascere il terzomondismo, l’estrema sinistra sessantottina, la fascinazione per il relativismo culturale e per il rifiuto di sé espressi da testi celebri come la prefazione di Jean- Paul Sartre ai « Dannati della Terra » di Frantz Fanon. Il pensiero occidentale coltivava la vergogna e privilegiava i propri nemici. Lo strutturalismo e le tesi differenzialiste di Claude Lévi- Strauss fornivano a quel relativismo un alibi ideologico.
Il rispetto delle tradizioni del Sud minacciate dall’Occidente, la valorizzazione delle differenze cinesi, amerinde, arabe o bantù esaltate contro l’universalismo occidentale furono parte integrante del catechismo anticolonialista, terzomondista o regionalista.
Preoccupata di espiare, storicamente disillusa, la sinistra occidentale idolatrò la differenza al punto da dimenticare il carattere universale dei diritti dell’uomo. Ci ricordiamo ancora di quegli intellettuali che trovarono scusanti ai pensieri totalitari ( maoismo, indigenismo…), con il pretesto che quelle culture non avevano la nostra stessa concezione di libertà.
Il terzomondismo giustificò molte compiacenze, ad esempio nei confronti dei Khmer rossi o del culto dell’« autenticità » messo in campo da Mobutu in Zaire.
Curiosamente, quel relativismo culturale si trovava ad essere sottratto all’ambito d’origine. Poiché, fino ad allora, l’esaltazione di culture lontane, la celebrazione dell’esotismo « minacciato dalla corruzione moderna » , le reticenze di fronte al progetto coloniale « assimilazionista » erano state appannaggio della destra e dell’estrema destra. L’estrema sinistra, strumentalizzando Lévi- Strauss, si riappropriava inconsciamente di un concetto venuto dal campo opposto. E nel peggiore dei modi. Questi sbandamenti coinvolsero un’intera generazione, la mia. Oggi il pensiero occidentale sembra cadere nell’errore opposto.
Torna ad essere trionfalista, sicuro di sé. Fatica sempre a trovare l’equilibrio. Claude Lévi- Strauss, in ogni caso, ci mancherà molto.
(traduzione di Anna Maria Brogi)
«Avvenire» del 27 novembre 2009

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