29 novembre 2009

La sinistra «dimentica» lo storico Zaslavsky

di Alessandro Gnocchi
A leggere i giornali di sinistra, Repubblica in testa, viviamo in un Paese immerso in una realtà virtuale disegnata dai media controllati da Berlusconi. Ogni giorno sociologi, filosofi, scrittori, editorialisti si esercitano su questo tema.
Eppure sembra che proprio i progressisti, Repubblica in testa, abbiano qualche difficoltà a fare i conti con la realtà. Giovedì scorso è morto all’improvviso Victor Zaslavsky, un grande studioso, forse poco conosciuto al grande pubblico, in compenso notissimo a chiunque sia appassionato di storia, in particolare quella del Partito comunista italiano. Zaslavsky, con sua moglie Elena Aga-Rossi, ha demolito con documenti inoppugnabili il mito dell’indipendenza di Togliatti dall’Unione Sovietica. Anche la svolta di Salerno, solitamente portata come prova regina dell’autonomia dal Pcus, fu voluta, o meglio ordinata, dal baffuto dittatore georgiano. Le carte raccolte dalla coppia non ammettono replica.
Zaslavsky poi ha scritto un saggio bellissimo sul massacro di Katyn, una delle vergogne del regime sovietico: nel 1940, nella foresta nei pressi di Smolensk, vennero trucidati circa 22mila polacchi, quasi tutti militari, quasi tutti laureati: l’élite della nazione. Stalin in questo modo eliminava ogni possibile forma di opposizione «borghese». L’eccidio fu addossato per anni ai nazisti, e insabbiato dai russi fino al 1990. Ci volle la caduta del comunismo per sapere la verità. Zaslavsky, in un libro edito dal Mulino, diede una lettura coraggiosa dei fatti fin dal titolo: Pulizia di classe: il massacro di Katyn. Il nazismo eliminava il nemico di razza. Il comunismo quello di classe. L’atteggiamento simile dei due totalitarismi non poteva non colpire. Nel volume di Zaslavsky c’era anche la storia della clamorosa distorsione dei fatti da parte di Mosca e dei suoi alleati fedeli alla linea. In Italia, chiunque si sia azzardato nel corso degli anni a smontare la propaganda sovietica, addossando la strage alla Armata Rossa, è stato zittito dal Pci di Togliatti. La vicenda desta ancora qualche malumore tanto che il film Katyn di Andrzej Wajda, nonostante i molti premi ricevuti, è stato distribuito in pochissime sale diventando il film «fantasma» del 2007.
Victor Zaslavsky, nei giornali di sinistra, con l’eccezione del Riformista, si è meritato in tutto una breve sull’Unità in cui nemmeno vengono ricordati i meriti indiscutibili di uno studioso che ha gettato luce sulla vera storia del Partito comunista italiano, cioè su una parte cruciale della storia di questo Paese. Forse il primo giorno la notizia è stata «bucata», come si dice in gergo, perché non è uscita nelle agenzie di stampa. Ma da ieri era cosa pubblica. Niente da fare. Una scelta editoriale lecita, che fa comunque pensare.
Questo silenzio infatti è il segno di una incapacità di fare i conti col passato che la destra, per fortuna, pare aver superato da tempo. Al contrario la sinistra ne è ancora invischiata fino al collo, e si trastulla con il sogno di un partito comunista sinceramente democratico, autonomo da Mosca. Per non dire dei miti della Resistenza, della inviolabile Costituzione e di tutto l’armamentario consunto da spolverare il 25 aprile e da brandire contro i «fascisti» ormai puramente immaginari. Soprattutto la sinistra si trastulla ancora con la convinzione che sì, forse qualcosa a est è andata storta, e il socialismo reale non era esattamente un paradiso. Eppure l’idea, quell’idea che ha prodotto tragedie lungo l’intero Novecento, non era sbagliata. Anzi: era meravigliosa.
E quindi perché ricordare Victor Zaslavsky, che aveva fatto a brandelli la realtà virtuale comunista?
«Il Giornale» del 29 novembre 2009

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