24 novembre 2009

Il Social editor cambia le news. Ma l'etica resta

di Vincenzo Grienti
L’idea del giornalista che consuma la suola delle scarpe per osservare la realtà, ascoltare persone, raccontare fatti, raccogliere notizie, potrebbe avere una battuta d’arresto davanti al cronista della 'generazione digitale' che invece logora i polpastrelli sulla tastiera del computer alla ricerca di news nei meandri dei social network.
Dopo il 'New York Times', la Bbc e altre testate giornalistiche internazionali, complice un po’ la crisi economica e la riduzione degli organici redazionali, si sta facendo strada una nuova tipologia di professionista. Si chiama 'social media editor' e avrà il compito di aiutare ad esplorare la realtà dei social media. «Come anche altre realtà editoriali - ha detto Nic Newman del dipartimento tecnologia della Bbc - siamo all’inizio di qualcosa di molto entusiasmante. Riconosciamo l’importante ruolo giocato dai social media. Pensiamo che la decisione di aprire la posizione di 'social media editor' sia il modo migliore per potere capire cosa realmente funzioni e cosa no». Lo scopo è raggiungere l’utente che naviga su Internet tramite i social media, conoscere i gusti dell’opinione pubblica e tirar fuori quanto di notiziabile possa esserci per i lettori della Rete. Ad avvalorare l’'appetito per il digitale' nel mondo giornalistico una ricerca di Media Management Center (http://www.mediamanagementcenter.org/
), condotta su 3.800 giornalisti di 79 quotidiani pubblicati negli Usa. L’indagine distingue sei diversi profili a seconda del grado di digitalizzazione desiderato, a partire dai cosiddetti 'digitali', che già trascorrono gran parte del proprio tempo lavorando on line, fino ai nostalgici dell’attività di redazione dei tempi precedenti l’avvento di Internet.
L’80 per cento degli intervistati è favorevole a una digitalizzazione ulteriore della professione e lamenta la poca rapidità nel cambiamento delle sale stampa.
I nostalgici sono solo il 6 per cento mentre coloro che vorrebbero mantenere lo status quo il 14 per cento. Due i fattori che portano a una simpatia per il digitale: l’ampio utilizzo del Web a livello personale e il diverso rapporto che si può costruire con un pubblico on line. Altre variabili che conducono alla propensione al cambiamento anche un approccio positivo da parte dei giornalisti a imparare e migliorare le proprie abilità nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Il 77 per cento dei giornalisti, secondo la ricerca, si ritiene contento del proprio lavoro. Se da un lato la figura del social media editor chiude in soffitta la mitica Lettera 22, dall’altro, l’avvento di tempi diversi e linguaggi nuovi, di tecnologie informatiche innovative, non potrà far perdere l’anima del giornalismo che fa della ricerca e della documentazione, dell’etica professionale, del rispetto delle fonti e della descrizione dei fatti realmente accaduti la sua ragione d’essere. Nel 1904 sulla «The North American Rewiew» Joseph Pulitzer scriveva:«Un giornalista è la vedetta sul ponte della nave dello Stato. Egli nota i bastimenti di passaggio, le piccole cose che punteggiano l’orizzonte. Egli segnala il naufrago alle navi che possono salvarlo, scruta nella nebbia e nella tempesta per avvertire i pericoli in arrivo». Nonostante la digitalizzazione condurrà all’accelerazione degli strumenti, sarà sempre l’uomo che farà la differenza con la sua voglia di scoprire le verità per raccontarla secondo l’'info­etica' che, come ha sottolineato Benedetto XVI, metta al centro l’inviolabile dignità della persona umana.
«Avvenire» del 24 novembre 2009

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