19 novembre 2009

Il genio errante

Se dei ricercatori insegnano teorie poi rivelatesi false, ciò rientra nel normale cammino del «progresso». Ma se càpita alla religione, essa verrà ritenuta colpevole nei secoli dei secoli
di Andrea Vaccaro
Una specie di barzelletta nata in circoli pro­scienza ultraortodossi presenta la signora addetta alle pulizie di un grande polo universitario che, nel giorno del suo pensionamento, si reca per il saluto nell’ufficio del rettore: «Ascol­ti, ho lavorato per tanti anni qui e non mi sono mai lamentata di nulla, ma oggi glielo voglio proprio di­re: i professori del Dipartimento di filosofia sono ordinatissimi, non c’è mai un foglio appallottola­to nel cestino; ma quelli del Dipartimento di fisi­ca sono dei gran pasticcioni, cartocci dappertut­to, appunti svolazzanti e lavagne piene di scara­bocchi!
». Il rettore, con tono comprensivo: «La spiegazione è semplice, signora. I fisici elaborano ipotesi, fan­no calcoli e poi li verificano. Spesso si accorgono di aver sbagliato e ricominciano daccapo. I filoso­fi, invece, scrivono i loro pensieri astratti, poi si ri­leggono e, anche se non sono molto soddisfatti, scrollano le spalle e dicono: vabbé, tanto è meta­fisica …!». In effetti, è un’idea molto diffusa che le proposizioni scientifiche, rispetto a quelle filosofiche, possie­dano una sorta di bollino di garanzia. Dinanzi al refrain: «Lo dice la scienza!» raramente si solleva­no obiezioni, tanto che, con una punta di critica, l’epistemologo Paul Feyerabend osservava che «c’è la separazione tra Stato e Chiesa, ma non c’è nes­suna separazione tra Stato e scienza!».
Anche quando una teoria scientifica viene sorpas­sata e sostituita da un’altra, non si va molto più in là di espressioni tenui quali «cambio di paradigma» o «riorientamento gestalti­co ». Della complessa ope­ra di inizio anni Sessanta La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn è sopravvissuta so­prattutto la componente a­pologetica, secondo cui u­na teoria scientifica che è a tutti gli effetti un’anticaglia rimane pur sempre «vera» nel quadro delle conoscen­ze e dei dati sperimentali dell’epoca in cui si è affer­mata. Così, però, non è lea­le.
Se una comunità religiosa ha errato una volta nel cor­so della sua storia, ciò rimane una macchia inde­lebile che per alcuni, addirittura, invalida le capa­cità veritative di detta comunità nei secoli dei se­coli. Se è una comunità scientifica, invece, ad in­segnare una credenza fallace, questo rientra nella fisiologia del progresso epistemico e non inficia la validità del suo statuto e del suo metodo. L’astro­nomia tolemaica – per attenersi all’esempio più e­clatante tra quelli menzionati da Kuhn – passava, ai suoi tempi, come una teoria scientifica esatta, ma in realtà, senza attorcigliare troppo le parole, era semplicemente sbagliata. La scienza ha insegnato e «vestito» di oggettività, dunque, teorie sbagliate. Addirittura, poi, la logica del progresso scientifico può avere risvolti totalmente diversi da quelli de­siderati dai suoi propugnatori. Se ogni impalcatu­ra concettuale deve essere ineluttabilmente rim­piazzata (per superamento, perfezionamento o ri­voluzione) da un’altra, ecco che l’unica cosa che ri­mane ferma in questo divenire è proprio la cer­tezza che le cosiddette «verità» scientifiche di ogni epoca, compresa la nostra, appariranno, nei seco­li futuri, credenze primitive, se non propriamente errate.
La conoscenza scientifica è indubitabilmente da ri­conoscere come uno dei più lodevoli sforzi dell’u­manità ed uno dei doni più preziosi dell’intelli­genza, ma, per guadagnare i gradi della verità, tan­to dovrà ancora correre, ipotizzare e poi accartoc­ciare. Una piccola vendetta nei confronti dei col­leghi scienziati da parte dei professori del Dipar­timento di filosofia. Quelli, per intenderci, con i ce­stini vuoti.
«Avvenire» del 19 novembre 2009

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