29 novembre 2009

Così l’Associazione Italia-Urss agiva su mandato di Mosca

Nei documenti inediti del ministero dell’Interno, gli intrighi propagandistici della «nota emanazione del Pci». I convegni celavano l’apologia del regime
di Gennaro Sangiuliano
«All’associazione e alla sua normale attività partecipano formalmente persone di nazionalità italiana. Gli elementi di nazionalità russa se ne tengono apparentemente estranei; sennonché l’interesse che vi portano le autorità sovietiche risulta evidente dal loro intervento alle manifestazioni più importanti dell’organizzazione e dal contributo finanziario dell’ambasciata sovietica, come si dirà appresso». È un brano che compare a pagina 2 di un riservatissimo documento di complessive sei pagine, intestato ministero dell’Interno e firmato «il capo della Polizia». È conservato all’Archivio di Stato (riferimento Min. Int., P.S., Cat. G., 1944-1986, n. 287), in un faldone che riguarda le attività dell’Associazione Italia-Urss, che un altro documento di Polizia degli anni Settanta definisce «nota emanazione del Pci».
Il rapporto più interessante è intestato «Gabinetto del Ministro» ed è datato 29 dicembre 1951, quando il titolare del Viminale era Mario Scelba, il politico democristiano allievo di don Sturzo che guidò il delicatissimo ministero dal 1947 al 1953, negli anni in cui settori del Pci ancora meditavano la conquista armata del potere.
L’Associazione Italia-Urss nacque nel 1945, e la sede centrale, come scrivono i rapporti riservati, era a Roma in via XX Settembre, con sedi distaccate in tutte le principali province italiane, soprattutto del Centro Nord. Polizia e Ministero dell’Interno fanno un accurato monitoraggio delle adesioni. Dai documenti si evince che, negli anni Settanta della presidenza dell’Associazione fanno parte Eduardo De Filippo, Renato Guttuso, Cesare Zavattini, Giancarlo Pajetta, Pietro Bucalossi. Il segretario generale è Paolo Alatri. Nel primo documento dell’Interno dedicato al sodalizio si scrive che «in realtà i suoi fini sono diretti ad “agganciare” elementi del ceto medio ed a creare proseliti per il Pci negli ambienti intellettuali». Infatti, tra i membri proliferano gli intellettuali: Giovanni Berlinguer, Paolo Dell’Anno, Ambrogio Donini, Cesare Musatti, il fisico Edoardo Caianiello, l’editore Giulio Einaudi, la scrittrice Renata Viganò, il direttore del teatro stabile di Torino Gianfranco De Bosio, il direttore della mostra del cinema di Venezia Luigi Chiarini, il critico cinematografico Ferdinando Di Giammatteo, il chimico Corrado Rossi, lo storico Rosario Villari, il critico Walter Pedullà, l’editore Vito Laterza. Vi è iscritto anche il bibliotecario della Camera dei Deputati, Paolo Padovani.
L’Associazione è divisa in commissioni. Il capo della Polizia ne traccia una dettagliata mappa, tornando spesso con preoccupazione sul tema dei finanziamenti provenienti dall’Urss e descrivendo il centralismo che muove i meccanismi poiché «ogni commissione controlla il settore ad essa affidato in stretto collegamento con la segreteria generale», mentre quanto alle attività poste in essere si obietta che «si fa promotrice di convegni nazionali di carattere scientifico, sotto la parvenza dell’apoliticità, per convertirli poi, a mezzo di convegni, a propri affiliati e in riunioni di propaganda filosovietica».
Il dopoguerra italiano è tormentato. Nel «triangolo rosso» dell’Emilia si continuano a uccidere ex fascisti, ma anche sacerdoti e democristiani. In quegli anni il vicesegretario del Pci Piero Secchia ancora teorizzava l’insurrezione armata e come responsabile dell’organizzazione interna teneva in piedi il cosiddetto «parapartito», una struttura clandestina fondata su cellule attive e armate di ex partigiani.
L’Associazione continuerà a essere attentamente «osservata» per tutto il dopoguerra. Sugli stessi nomi torna un rapporto riservato della Questura di Roma che cita una presenza molto particolare: l’esponente democristiano Fiorentino Sullo. Il ministero dell’Interno si mostra anche perplesso a causa dell’organizzazione di corsi di lingua russa, al punto da far attivare i prefetti sui provveditori agli studi al fine di «scoraggiare» la collaborazione da parte dei docenti. Tra le attività, la pubblicazione di alcune riviste, la principale delle quali è Italia-Urss, diretta da Arminio Savioli, redattore dell’Unità, insieme a Realtà Sovietica e Rassegna della stampa sovietica.
I documenti del ministero dell’Interno, fra le righe, gettano alcune ombre sul collateralismo pan-sovietico dell’Associazione. «Aderisce a tutte le iniziative politiche estremiste, quali la campagna contro il patto atlantico...», riporta la nota del capo della Polizia sempre a pagina 2. Le attenzioni del Viminale si focalizzano soprattutto sui rapporti diretti con l’Urss: al congresso di Torino dell’ottobre 1949 è presente l’ambasciatore sovietico, insieme a «due delegazioni di cittadini sovietici, proveniente una da Roma l’altra da Mosca». L’ambasciatore è anche a Firenze, al convegno di informazione sugli studi sovietici, nel novembre del 1950, con due segretari e tre funzionari della sede diplomatica. Il 4 febbraio del 1950, l’Associazione tiene una grande manifestazione al teatro Adriano di Roma. Presente non solo l’ambasciatore sovietico, ma anche quelli di tutti i Paesi del Patto di Varsavia. A Siena, invece, per un convegno di «pedagogia sovietica» viene inviato solo il primo segretario d’ambasciata. «D’altra parte», scrive il gabinetto di Scelba, «le attività non potrebbero essere svolte senza il concorso delle autorità sovietiche».
La Questura di Torino dedica un lungo e dettagliato rapporto, firmato personalmente dal questore Ferrante, a un convegno organizzato nel marzo del 1952 dall’Associazione sul tema della «produzione nelle fabbriche sovietiche». Vi partecipano nomi altisonanti dell’apparato del Pci, da Celeste Negarville a Paolo Robotti a Rita Montagna, moglie di Palmiro Togliatti. C’è anche la Cgil al gran completo, con il segretario generale Oreste Lizzadri, i due vice segretari Luciano Lama e Vittorio Foa, oltre al segretario generale della Fiom Giovanni Roveda. La partecipazione di pubblico è altissima, quasi mille persone. Manca, però, l’annunciata delegazione sovietica perché il governo italiano ha rifiutato il visto d’ingresso. Ferrante annota che «non si è fatto altro che esaltare le conquiste del regime sovietico».
Negli anni Settanta le attività perdono il loro carattere territoriale e capillare e diventano più culturali, come la pubblicazione delle opere di Lenin. L’Associazione, formalmente, smetterà di operare nel 1991, quando è imminente la dissoluzione dell’Urss, ma già dai primi anni Ottanta si erano diluite per effetto degli strappi operati dal Pci verso Mosca.
«Il Giornale» del 29 novembre 2009

Nessun commento: