22 novembre 2009

Capitalismo, ecco il libro nero

Tradotta la «Storia dei crimini monetari» dello studioso americano Alexander Del Mar, che poco prima del 1929 ricostruì le complicità occulte fra speculatori
di Giancarlo Galli
Anche gli sviluppi dell’at­tuale crisi economico-finanziaria che ha messo in ginocchio l’intero pianeta gettan­do un’ombra sinistra sulla mitiz­zata «globalizzazione», sembrano dimostrare come gli uomini nulla o quasi abbiano appreso dalla sto­ria; e quanto siano lesti a dimenti­care, subito riannodando con spe­culazione ed ingordigia, mentre i politici un po’ ovunque eccellono nel «predicar bene e razzolar ma­le ». Un paio di esempi concreti. Su un versante, a meno di due anni dal più spaventoso crack del dopo­guerra, i banchieri hanno ripreso, con spavalda autoreferenzialità, ad autoconcedersi dei bonus mi­lionari nonostante la salute dei lo­ro istituti (spesso salvati dal falli­mento con danaro pubblico), per­manga precaria. Sull’altro gli stati ed i loro governi, più o meno de­mocratici, si sono messi a far fun­zionare a pieno regime i torchi, immettendo sul mercato miliardi e miliardi di dollari, euro, yen e yuan. Accumulando debiti farao­nici. Lo stato italiano ha raggiunto un indebitamento di 1761 miliar­di, pari al 115 per cento del Pil, cioè l’ammontare della ricchezza prodotta in un anno. È un record negativo mondiale, secondo solo a quello del Giappone, ma nem­meno le altre principali nazioni viaggiano in acque migliori. Ad e­sempio la Francia è sul punto di lanciare il «Prestito Sarkozy», da 100 miliardi, per tappare i buchi.
A loro volta, le aziende s’indebita­no a tutto spiano, approfittando dell’azzeramento (provvisorio) dei tassi d’interesse. Domanda: che ne sarà di questo fiume in piena di carta-cartaccia filigranata, in un domani prossimo venturo, un lustro e magari anche meno?
La risposta è, appunto, nella sto­ria: una gigantesca ondata infla­zionistica che trarrà dai guai i de­bitori, lasciando il cerino fra le mani dei creditori, in particolare i piccoli risparmiatori. Infatti il tourbillon di moneta cartacea s’appoggia su sabbie mobili, in­certe: la cosiddetta «credibilità del sistema». Una fantasiosa entità (quasi un’araba fenice), concepita e partorita da compiacenti eco­nomisti: un tempo al servizio di imperatori, re, principi (usi a can­cellare con un regale colpo di spugna i loro debiti), ora dei nuo­vi potenti. Che il nostro futuro economico­finanziario l’avevano, e nemmeno alla lonta­na, previsto?); «Siamo intervenuti in tempo!» (ma con danaro pub­blico, privilegiando gli interessi di pochi). Comunque, auguriamoci abbiano ragione, considerando che le molteplici esperienze del passato non confortano. Anzi.
In questo scenario, lo­devole è l’iniziativa di u­na piccola casa editrice (Excelsior 1881) di pub­blicare per la prima vol­ta in Italia, con la graf­fiante e puntuale prefazione di Francesco Mer­lo, opinionista di spicco, la Storia dei crimini mo­netari di Alexander Del Mar, in apparenza post­datata, poiché compar­sa in Usa negli anni ven­ti del secolo scorso, ven­ne lestamente spedita in soffitta dagli «addetti ai lavori». Giudicata «inop­portuna », in un periodo di boom. Inoltre Del Mar, nato a New York nel 1836 scomparve no­vantenne nel 1926. No­nostante fosse stato direttore dell’ufficio statistico Usa, delegato americano alle conferenze mone­tarie internazionali, il suo caratte­re spigoloso lo rendeva inviso.
Sarà il celeberrimo Nobel per l’e­conomia James Tobin, ispiratore di Kennedy, a «riabilitarlo».
In che consisteva la supposta «fol­lia intellettuale» di Del Mar? Se­condo il Nobel (1999) Robert Mundell, «seppe porre domande mai formulate in precedenza, a cui fornì risposte anticonformiste e spregiudicate». Traduzione in soldoni: Del Mar individuò, alle radici di ogni crisi monetaria dal ’600 in poi, le complicità occulte fra speculatori e politici. In so­stanza, denunciando il laissez-fai­re che propiziò i «crimini moneta­ri ». Affascinante, nei suoi scritti, la battaglia perduta contro i «verdo­ni » (dollari di carta esentati dalla copertura aurea); il modo in cui venne estromesso dal circuito l’ar­gento che per la sua diffusione a­vrebbe potuto costituire una ga­ranzia reale. E via-via sino alla fol­lia tecnocratica di un edificio pri­vo di fondamenta. Cos’è, infatti se non un «artificio», il danaro che maneggiamo? Da qui, e dal distac­co dalla realtà, il susseguirsi dalle crisi. Certo, Del Mar non nega il progresso intervenuto, grazie an­che alla vieppiù rapida circolazio­ne monetaria. Tuttavia, leggendo fra le righe (splendido l’intervento ad un congresso a Memphis, nel 1895), emerge la sua pulsione per un mondo più equilibrato, meno ingiusto. Poiché è difficile dargli torto, le sue pagine appaiono per molti versi profetiche.
Alexander Del Mar, Storia dei crimini finanziari, Excelsior 1881, pp. 264, € 15,50
«Avvenire» del 21 novembre 2009

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