31 ottobre 2009

Shakespeare e la Buona Novella

Al di là del dibattito biografico sull’adesione o meno del Bardo inglese al cattolicesimo, un saggio esplora le tracce evangeliche nel «messaggio» della sua opera
di Alessandro Zaccuri
Una presenza che, a partire dall’«Amleto», si fa via via sempre più evidente, fino alla «Tempesta»
«Lo sai chi è Shakespeare, ragazzo? Shakespeare è l’autore della Bibbia di re Giacomo». L’informazione che Leonardo DiCaprio riceve in Gangs of New York è tutt’altro che affidabile, eppure ha una sua verità, e non soltanto perché i due massimi monumenti della lingua inglese – le opere de Bardo e la ' versione autorizzata' della Sacra Scrittura – sono perfettamente coetanei, situandosi entrambi nel passaggio fra XVI e XVII secolo. No, la questione è più sottile e profonda, e riguarda quella che Harold Bloom ha definito « l’invenzione dell’umano » da parte di Shakespeare. Espressione fulminante, d’accordo, ma ancora incompleta rispetto al quadro che ora, in un saggio straordinario, Piero Boitani inserisce nella prospettiva di un ritrovato « cristianesimo naturale » .
Il libro si intitola Il Vangelo secondo Shakespeare ed è fondato sull’analisi dei cosiddetti last plays, gli ultimi testi del corpus shakespeariano, drammi in prevalenza romanzeschi la cui compattezza tematica è annunciata in Amleto e portata a compimento nella Tempesta. Due capolavori, fa notare Boitani, all’interno delle quali risuona in modo inequivocabile un amen di provenienza biblica, un « così sia » che, nel congedo del mago Prospero, insiste addirittura sulla clausola finale del Padre nostro: il perdono dei peccati, la liberazione dal male.
L’indagine sulle citazioni e allusioni scritturistiche in Shakespeare vanta una lunga traduzione erudita, di cui Boitani – docente di Letterature comparate alla Sapienza di Roma – tiene conto nella sola fase di documentazione, così come non si sofferma sulla questione, oggi molto dibattuta, della fede professata del grande drammaturgo, nei cui versi pure non mancano gli indizi di un’adesione al cattolicesimo.
A occupare la scena è invece la decifrazione della ' buona novella' che Shakespeare annuncia proprio a partire dalla tragedia del principe di Danimarca, quell’Amleto che desidera una ' consumazione' niente affatto nichilista, ma indirizzata piuttosto a emulare il consummatum est della Passione. Non diversamente Lear, il re ridotto alla condizione di Giobbe, spera di poter vivere un giorno come « spia di Dio » , un’immagine nella quale si concentra tutta la complessità della teologia shakespeariana. Non si tratta, avverte Boitani, di un sistema coerente, quanto di una costruzione poetica che tuttavia, anche quando sembra sconfinare nel sincretismo ed eludere le questioni fondamentali ( l’esistenza di un Dio personale, anzitutto, su cui Shakespeare non si pronuncia mai in termini definitivi), trova perfetta corrispondenza con il cuore dell’annuncio evangelico.
Illuminante, in particolare, risulta l’interpretazione di Boitani a proposito dell’uso dell’agnizione, e cioè del riconoscimento, nell’ultimo Shakespeare.
Si tratta di uno dei più antichi stratagemmi drammaturgici, per cui una persona creduta morta o semplicemente scomparsa torna a manifestarsi, ricomponendo il cerchio degli affetti e ristabilendo l’ordine di giustizia. Le agnizioni abbondano nei last plays, ma nessuna ha la forza perturbante del ritorno di Ermione nel Racconto di inverno. Una statua che prende vita, lasciando lo spettatore incerto tra lo stupore per l’incantesimo e la meraviglia per il miracolo. La risurrezione, il destino del corpo, il ruolo decisivo che – come già nei racconti della Pasqua – le donne assumono nella stagione estrema del teatro shakespeariano. Un Vangelo, insomma, che non soltanto ' inventa' l’umano, ma lo restituisce a se stesso, trasformandolo e salvandolo.
Piero Boitani , Il Vangelo secondo Shakespeare, Il Mulino, pp 176, € 15,00
«Avvenire» del 31 ottobre 2009

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