30 ottobre 2009

Popper: sull’etica la scienza si fermi

Il grande filosofo della «Società aperta» sosteneva la necessità di un non sconfinamento di campi fra la scienza e la religione, dopo i conflitti dell’800
di Dario Antiseri
E in campo morale indicava i limiti della ricerca a favore del «regno del sacro»
Le riflessioni contenute nel vo­lume La società aperta, riguar­danti il rapporto tra scienza e fede, sono un’eco della più ampia trattazione del problema sviluppa­to da Karl Popper nella conferenza su Scienza e religione. «Non molto tempo fa - leggiamo all’inizio del suo discorso - esisteva una notevole ten­sione fra scienza e religione. Questa tensione si accentuò durante il XIX secolo, in particolare a partire dalla polemica su Darwin e la teoria del­l’evoluzione ». Ebbene, la tesi prin­cipale fatta propria da Popper è che «non ci può essere alcun disaccordo fra una scienza che non tenti di ol­trepassare i suoi confini e una reli­gione che non tenti di trattare argo­menti che in realtà appartengono al campo della scienza». Il contrasto del XIX secolo fra scienza e religio­ne - soggiunge Popper - trova la sua scaturigine in uno sconfinamento da entrambi i lati. «Entrambe le par­ti sono colpevoli, gli scienziati così come i difensori della fede: gli scien­ziati perché non si resero conto che il loro campo è interamente confi­nato al mondo dell’esperienza e per­ché lo straordinario sviluppo scien­tifico di cui erano testimoni li spin­se a credere che non ci fosse niente nel nostro mondo che non sarebbe rientrato un giorno nel campo del­la scienza. I difensori della fede, dal­l’altro lato, sono colpevoli perché non si resero pienamente conto che la fede religiosa è fondamental­mente differente da quella che soli­tamente chiamiamo conoscenza scientifica e che non è compito del­la religione fare affermazioni su pro­blemi che rientrano nel campo del­la scienza e che possono essere stu­diati con il metodo scientifico».
Né sostenibile, secondo Popper, è la posizione di coloro che affermano che la scienza o, meglio, gli sviluppi della scienza, supporterebbero la fe­de religiosa. Popper, al riguardo, as­sume un punto di vista completa­mente differente: «Ammettiamo - e­gli dice - che la scienza sia conside­rata come un qualcosa che suppor­ti la religione; allora, se in una de­terminata fase del suo sviluppo ri­sulta che essa è d’accordo con alcu­ne dottrine religiose che noi ab­bracciamo per questa ragione, do­vremmo anche accettare la confu­tazione di queste dottrine da parte della scienza, se in una certa altra fa­se del suo sviluppo la scienza do­vesse giungere ad una concezione differente». E, in effetti, la scienza «non si sviluppa tramite l’accumu­lazione di conoscenze»; essa, piut­tosto, «si sviluppa tramite rivoluzio­ni ». Legare la fede religiosa ad una teoria scientifica equivale a porla a livello delle ipotesi scientifiche. «Mi sembra però perfettamente chiaro ­insiste Popper - che questo non sia il significato della dottrina religiosa dell’esistenza di Dio. Una fede reli­giosa non si basa su ipotesi. Essa si situa a un livello completamente dif­ferente ». E qui sta «la ragione per cui scienza e fede non possono essere in conflitto reciproco, né supportarsi reciprocamente». Il livello in cui o­perano le fedi è soprattutto quello etico. E «il regno delle nostre azioni pratiche, dei nostri obiettivi pratici, e in particolare delle nostre decisio­ni morali, il modo in cui ci compor­tiamo nei confronti degli altri uomi­ni e in cui tentiamo di condividere le nostre vite, tutte queste cose co- stituiscono un regno che in un cer­to senso non rientra nel campo del­la scienza». In ambito etico, laddo­ve si deve scegliere quale compor­tamento assumere, «dobbiamo a­derire a quell’insegnamento fonda­mentale che è anche quello del cri­stianesimo, ossia che la nostra co­scienza è l’ultima corte d’appello. In tutte queste questioni, la scienza non può aiutarci. La scienza nel suo campo di ricerca specifico non può dirci che cosa dovremmo fare. Non interferisce nel campo morale e re­ligioso ». E c’è un ulteriore problema affron­tato da Popper: il problema del con­flitto tra religione e irreligiosità; un problema considerato di grande ri­levanza sia dai credenti in una o in un’altra delle religioni riconosciute, sia da quanti si sono considerati o si dichiarano atei o liberi pensatori o di non avere nessuna religione. «Penso anche qui - sottolinea Pop­per - che entrambe le parti abbiano torto. Lo credo più in particolare nel caso di quegli atei che hanno soste­nuto con così tanta enfasi di non cre­dere in nessuna religione specifica. Sostengo che queste persone erano indubbiamente religiose proprio nello stesso senso in cui diciamo che sono religiosi coloro i quali credono nelle tante differenti fedi. E sosten­go che quanto più entusiastica­mente dichiaravano la loro irreli­giosità, tanto più chiaramente di­mostravano, in realtà, di appartene­re a una religione. La mia tesi è che, sebbene ci possano essere vari gra­di di fede, sebbene la fede possa es­sere molto forte in alcuni e piuttosto debole in altri, non esiste probabil­mente alcun uomo che ne sia total­mente privo. Di conseguenza, anzi­ché contrapporre religione e irreli­giosità, possiamo contrapporre sol­tanto i differenti generi e gradi di fe­de ». E tra le fedi «completamente disu­mane » Popper ha in mente «i vari ti­pi di totalitarismo e di razzismo»: «Questi sono movimenti che con u­na fervente fede tentano di distrug­gere la maggiore conquista del cri­stianesimo: la credenza che siamo tutti fratelli, che tutte le differenze fra noi non sono alla fine molto im­portanti; la credenza, in breve, nel­l’unità dell’umanità». Di fronte alle diverse fedi e ai differenti principi e­tici, non possiamo rivolgerci alla scienza per decidere a chi credere o che cosa credere e che cosa fare. Di fronte al pluralismo delle fedi e al politeismo dei valori siamo con­dannati ad essere liberi: «Dobbiamo aderire a quell’insegnamento fon­damentale che è anche quello del cristianesimo, ossia che la nostra co­scienza è l’ultima corte d’appello». Ed ecco come lo stesso Popper rias­sume il nucleo centrale della sua conferenza: «I regni della scienza e della religione non interferiscono reciprocamente. Ogni conflitto fra scienza e religione è dovuto a uno sconfinamento, da una parte o dal­l’altra. Ma i regni della religione e dei problemi morali in larghissima mi­sura coincidono. Ciò non significa, tuttavia, che l’essere religioso renda morale un uomo. Esistono anche re­ligioni del male e solo la nostra de­cisione, basata sulla nostra coscien­za, può aiutarci a distinguere che co­sa è giusto e che cosa è sbagliato».

Il volume di Karl Popper «Dopo la società aperta» viene pubblicato in questi giorni da Armando (pagine 556, euro 39) e ci rivela lo sviluppo filosofico e politico di Popper durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, dai suoi primi pensieri socialisti all’umanitarismo radicale della «Società Aperta». I saggi riportati, molti dei quali tradotti in italiano per la prima volta, dimostrano con chiarezza il pensiero di Popper sulla religione, sulla storia, su Platone, Aristotele e sui vari e complessi aspetti della società contemporanea. Dalla prefazione di Dario Antiseri pubblichiamo in questa pagina per gentile concessione dell’editore, un brano del capitolo «Riflessioni sul rapporto tra scienza e fede religiosa».
«Avvenire» del 30 ottobre 2009

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