31 ottobre 2009

L’outlet della vita artificiale vende per ora solo incubi

Scienza, etica e propaganda
di Assuntina Morresi
La creazione di ovociti e spermatozoi umani in laboratorio è ancora lontana, nonostante il gran parlare che se ne è fatto in questi giorni sui giornali di mezzo mondo. La ricerca in questo settore ha fatto forse qualche passo avanti, come possiamo leggere in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, ma non sappiamo ancora se e quando si potranno effettivamente ottenere gameti artificiali umani, e ancora una volta sarebbe bene che i media pesassero toni e contenuti prima di lanciare improbabili notizie.
Questa ricerca pone o meno problemi etici a seconda della sua finalità: lo studio dei gameti nelle fasi iniziali della loro formazione potrebbe aiutare a comprendere i meccanismi necessari al loro sviluppo corretto, e magari a individuare alcune delle cause della sterilità umana. E la stessa ricerca potrebbe essere condotta non sulle staminali embrionali umane – come descritto nell’articolo su Nature – ma sulle pluripotenti indotte, cioè staminali analoghe a quelle embrionali, ottenute riprogrammando cellule della pelle, senza distruggere embrioni. Una linea di ricerca che non porrebbe alcun problema etico, insomma.
I problemi nascono invece se si vuole arrivare a produrre gameti in laboratorio.
La prima difficoltà, insormontabile, secondo chi scrive, riguarderebbe proprio la modalità di sperimentazione: anche ammesso che si riuscisse a creare gameti in vitro, l’unica dimostrazione definitiva del loro funzionamento sarebbe usarli per far nascere bambini, e verificare poi che i nati fossero sani. Un esperimento impossibile da realizzare negli esseri umani, a meno di non ammetterne la creazione a fini sperimentali: in altre parole, dovremmo pensare a persone concepite, fatte nascere e crescere per sperimentare l’efficacia della tecnica che, producendo gameti in laboratorio, ha permesso loro di esistere. Uno scenario folle ed inumano, che in questi termini sarebbe francamente inaccettabile per chiunque (anche se sarebbe onesto ammettere che nell’ambito della fecondazione assistita questo spesso è stato il modo di procedere, per "migliorare" le tecniche di procreazione in vitro: l’esperimento diretto sull’uomo).
Ma anche la possibilità di creare in laboratorio quantità di spermatozoi e ovociti da rendere disponibili a persone sterili e infertili – ipotesi comunque remota ed altamente improbabile – come prospettato in questi giorni da alcuni media, aprirebbe scenari orridi. Si creerebbe un mercato dei gameti impossibile da controllare e tantomeno da gestire, molto più ampio di quello che già esiste nei Paesi in cui è ammessa la fecondazione eterologa: il legittimo desiderio di avere dei figli si concretizzerebbe in un’enorme compravendita di cellule per la creazione di potenziali nascituri.
Si porrebbero poi quesiti surreali, come ad esempio: a chi apparterrebbero i gameti ottenuti da embrioni "soprannumerari", cioè abbandonati nelle cliniche di fecondazione in vitro? L’eventuale coppia che volesse usarli, da chi li dovrebbe comprare? Senza pensare che i bambini che eventualmente venissero al mondo, avrebbero ricevuto il loro patrimonio genetico da embrioni, cioè da persone non nate, e d’altra parte, potremmo immaginare situazioni da film di fantascienza anche con gameti ottenuti da cellule non embrionali.
Probabilmente sarà la struttura profonda della stessa natura umana a salvarci dagli incubi annunciati, così com’è stato per il fallimento degli embrioni ibridi uomo-animale: un esperimento inumano, progettato, giustificato e sbandierato come un progresso scientifico, che si è rivelato irrealizzabile. Difficilmente arriveremo all’outlet dei gameti artificiali. Ma nel frattempo, con il grande battage mediatico, qualcun altro si sarà convinto che in laboratorio tutto è possibile, mentre la scienza, agli occhi dei più e purtroppo anche nella realtà, minaccia di trasformarsi in un gioco per apprendisti stregoni.
«Avvenire» del 31 ottobre 2009

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