29 ottobre 2009

La dolce rivoluzione della luce

L'ingrediente base della pittura prende il sopravvento sulla forma
di Francesca Bonazzoli
Dai fondali d' oro del Medioevo agli effetti immateriali di Turner Tecniche innovative I pittori del nord Europa, in particolare i francesi, furono i primi a mostrare nei loro dipinti passione e tecniche speciali e innovative per ricreare la luminosità
La luce è l'ingrediente base e più antico della pittura eppure, paradossalmente, il suo utilizzo come soggetto pittorico è recente. Nei secoli, infatti, sono stati impiegati via via tanti tipi di luce, ma si è dovuti arrivare all'Ottocento per giungere alla rappresentazione della luce stessa. Nell' arte antica era il corpo umano al centro dell' interesse degli artisti il cui massimo virtuosismo stava nell'imitazione della realtà, ovvero in ciò che i greci chiamavano «mimesis». L'arte medievale volse invece lo sguardo verso un mondo fantastico, popolato di draghi, mostri, santi asceti e cavalieri che della luce vera non sapevano che farsene. L' unica luce che contasse era quella dell'oro, usato in grande profusione nei dipinti perché simboleggiava quella divina e portava la pittura in un ambito contemplativo, dove venivano meno le coordinate dello spazio e del tempo date dalla luce vera. Nemmeno il Rinascimento mostrò uno specifico interesse e si rivolse invece allo studio della nuova scienza: la prospettiva. Certo Piero della Francesca, autore del trattato «De prospectiva pingendi», aveva fatto della sintesi forma-luce-colore l'equivalente di una gabbia prospettica e anche Beato Angelico o Domenico Veneziano erano ben consapevoli del fascino esercitato da tonalità luminose. Ma era un uso decorativo, come per Lorenzo Lotto che si ostinava a dipingere con colori lucenti, freddi e separati l'uno dall'altro, quando ormai Leonardo e persino il più giovane collega Tiziano avevano adottato la pittura tonale, fatta di trapassi sfumati da un tono di colore simile all' altro, abbandonando gli effetti di contrasto, come di smalti abbaglianti e pietre preziose, dei colori quattrocenteschi. Anche un pittore come Caravaggio, che con l' uso particolare della luce fece una rivoluzione, in realtà la utilizzò come un mezzo grazie al quale era dato vedere l' oggetto dipinto: la sua era una luce che rivelava ciò che è coperto dalle tenebre, ma non era ancora una rappresentazione/ritratto della luce. Nemmeno Canaletto e Bellotto, nel secolo del Lumi, arrivarono a rappresentare la luce, ma la utilizzarono come il mezzo razionale della visione, attraverso la camera ottica. Chi invece mostrò una passione del tutto nuova e speciale per la luce, furono i francesi e in genere i pittori del nord Europa che scendevano a Roma proprio per catturare quel particolare azzurro dorato della città eterna. I primi furono Claude Lorrain e Nicolas Poussin che nel quarto decennio del Seicento fecero da apripista ai tanti che, nel Settecento neoclassico, da Valenciennes a Guffier, da Thomas Jones a Robert Cozens a Granet, inventarono il versante solare del paesaggio razionalista, fondato su «ordre, calme et clarté», un «paysage portrait» realizzato per la prima volta all'aperto attraverso una sintesi visiva essenzialmente cromatica e non prospettica. Come per l' inglese Thomas Jones, il quale ritraeva la lastra accecante d' azzurro del cielo di Napoli e le variazioni infinitesimali dell' ombra su un muro scrostato. Si arriva così al «paysage vérité» di Corot da un lato e dall' altro agli effetti atmosferici e luministi di William Turner che trascende il dato realistico per arrivare a dipingere uno spazio-luce libero da ogni impianto prospettico dove le forme perdono la loro precisa consistenza a scapito dei colori-luce i quali divengono il soggetto stesso del quadro. La luce comincia finalmente ad essere la vera protagonista del quadro e saranno gli impressionisti a sancire il cambiamento. Se quello che conta è ora dipingere la luce stessa nelle sue infinite variazioni, allora la cattedrale di Rouen sarà per Monet solo un pretesto, una parete/specchio dove catturare il riflesso del sole. Fu allora che divenne quasi una necessità trasferirsi al Sud, verso la luce del Mediterraneo: se non più quella di Roma, quella della Provenza e della Costa Azzurra. Quelle tinte accese, senza compromessi, così diverse dai mezzi toni di Parigi o Londra, richiesero ai pittori un altro modo di dipingere al punto che spesso cambiarono radicalmente lo stile e la tavolozza. Così avvenne per Van Gogh, Matisse, Renoir, Picasso, Chagall e per tutti coloro che accettarono di ingaggiare la più antica delle sfide che possa essere posta a un pittore, quella di fissare l'immaterialità della luce.
«Corriere della Sera » del 28 ottobre 2009

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