09 ottobre 2009

Herta Müller, una voce contro le dittature

Il premio Nobel per la letteratura va alla scrittrice di lingua tedesca e di origini rumene. Pochi i suoi libri sinora tradotti in Italia
di Fulvio Panzeri
Già l’anno scorso il suo nome era tra i favoriti e il prestigioso riconoscimento assegnato dagli Accademici svedesi era andato al francese Le Clézio, creando un certo malcontento. Quest’anno invece Herta Müller, scrittrice poco nota in Italia, rumena di lingua tedesca, ce l’ha fatta ed è questo un premio Nobel assolutamente meritato e significativo per vari aspetti. Da una parte mette in rilievo la peculiarità delle minoranze; dall’altra ritorna a porre all’attenzione la letteratura di lingua tedesca, che in questi anni, grazie alla Müller, ma non solo (vanno ricordati anche Ingo Schulze e il giovane bosniaco Sasha Stanisic, che scrive in tedesco) ha ritrovato una nuova forza e, da ultimo, segnala un’attenzione anche verso l’uscita dal tunnel degli anni Novanta della letteratura rumena, quelli del 'dopo-Ceausescu', con voci decisamente 'alte' e di respiro europeo, come quella di Petru Cimpoesu, con lo straordinario Il santo nell’ascensore (Castelvecchi).
La Müller, nata all’inizio degli anni Cinquanta a Nitzkydorf nel Banato Svevo, regione di cultura e lingua tedesca passata dopo la seconda guerra sotto il controllo della Romania, pur se trasferitasi poco prima della caduta del Muro di Berlino, in Germania, a causa dell’ostracismo e delle censure che le venivano riservate in patria (imponenti dossier su di lei e sul suo lavoro erano stati costruiti dalla Securitate e ancora oggi, come ha denunciato di recente in un articolo, vi sono infiltrazioni e ricadute di quel sistema di controllo) ha sempre messo al centro della sua opera il racconto delle violenze degli anni bui della dittatura comunista. La sua formazione avviene attraverso lo studio della letteratura tedesca e rumena a Temesvari (Timisoara), vivendo con un gruppo di scrittori e poeti rumeno-tedeschi che intendeva la letteratura come critica e contrapposizione al regime di Ceausescu. Intanto lavora dal 1976 al 1979 come traduttrice per un’industria ingegneristica da cui però viene licenziata per non aver collaborato con la Securitate, la polizia segreta di Stato.
Nel 1982 pubblica il suo primo romanzo Niederungen, uscito largamente censurato in Romania; cinque anni più tardi decide di trasferirsi con il marito Richard Wagner, anche lui scrittore, in Germania. Qui insegna in diverse università e nel 1995 diventa membro della Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung. I suoi romanzi caratterizzati da uno stile graffiante affrontano soprattutto i problemi della minoranza tedesca nel Banato Svevo, l’oppressione sotto il regime comunista in Romania, con particolare riguardo per le violenze subite dalle donne, la rivolta contro Ceausescu e il disorientamento provato con il trasferimento in Germania. Herta Müller ha ricevuto numerosi premi tra cui il prestigioso Konrad­ Adenauer Literaturpreis nel 2004.
In italiano è sempre stata accolta con scarsa attenzione, fin dalla prima traduzione, nel 1987, di Bassure (Editori Riuniti), il suo libro d’esordio, titolo che mette in rilievo un doppio significato, quello del 'bassopiano' e quello delle 'bassezze della vita', legandolo come significato ad alcuni versi di un poeta della Germania Est, Johannes Bobrowski, che recitano: «Noi che viviamo nei bassopiani comprendiamo la morte, poiché non ci è estranea, essendo cresciuti con essa».
Questo dello straniamento è uno dei temi forti della letteratura della Müller, che ritroviamo come linea trasversale in questa sua prospettiva letteraria che sa trasformare la realtà in una grande metafora dell’esistenza, attraverso uno stile asciutto e secco. Come è possibile riscontrare anche nel romanzo breve, In viaggio su una gamba sola, apparso nel 1992 da Marsilio e passato sotto silenzio.
Grazie ad una piccola e originale casa editrice trentina, Keller, la Müller si è fatta conoscere in Italia in questo ultimo anno, partecipando anche al Festival di Letteratura di Mantova lo scorso settembre. Qui ha raccontato perché, sebbene il suo stile sia così vicino alla poesia, non ha mai pubblicato versi. La poesia, ha detto, è la forma letteraria che più facilmente si diffonde durante un regime dittatoriale sia perchè si esprime frequentemente per metafore sia perchè è una forma breve più facile da ricordare a memoria. Ci sono stati momenti - ­ad esempio gli interrogatori della polizia - ha ricordato ancora a Mantova - durante i quali recitare una poesia tra sè e sè svolgeva per lei, non credente, una funzione molto simile a quella che una preghiera deve avere per un credente.
Proprio da Keller è uscito nel 2008 Il paese delle prugne verdi, uscito per la prima volta nel 1998 con il titolo Hertzier, che letteralmente si traduce «la bestia del cuore» e mette in rilievo quel carattere di desolazione verso una società disgregata e immiserita dall’orrore e dalla dittatura. Al centro un mattatoio-metafora, alla periferia della Bucarest degli anni Ottanta: protagonista un gruppo di amici che tentano di non far scomparire nel nulla il sacrificio-suicidio di Lola, una ragazza violentata dal professore di ginnastica e che ne vogliono tener viva la memoria, meditando anche piani di fuga. Ci troviamo di fronte ad un libro che è come un 'poema in prosa', che si snoda nel vuoto di una 'prigionia in casa'. E che rimanda alla lezione di un’altra grande esule dell’Est comunista, Agotha Kristof, quasi sorella, in letteratura, della Müller.
«Avvenire» del 9 ottobre 2009

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