30 ottobre 2009

Febbre maiala

Ecco perché le milioni di dosi di vaccino influenzale possono restare negli hangar
di Roberto Volpi
E’ un dilemma impietoso. Ma i medici, ci sono o ci fanno? Ovvero: i medici razzolano male pur predicando bene o non razzolano bene pur predicando male? Sto parlando dei vaccini, e segnatamente del vaccino tanto reclamizzato per arginare l’ancor più reclamizzata influenza A (H1N1), l’influenza suina della quale, non appena è entrata nell’ambito della biomedicina, sono state oscurate le cause più immediate e profonde (cosicché essa sembra una congiura di perfidi virus sbucati dalle viscere dell’inferno dove i buoni ricercatori delle multinazionali del farmaco sono impegnati a ricacciarli). I medici, dunque, non si stanno vaccinando contro l’influenza suina. Il chirurgo morto a Napoli magari l’avrebbe fatto, ma il vaccino non era disponibile (e il pover’uomo ne aveva proprio di tutte, tant’è che le sue condizioni sono precipitate in un amen).
E comunque, mai i medici si sono vaccinati contro le influenze stagionali e pressoché contro alcunché. Quando lo hanno fanno sono arrivati a percentuali del 20 per cento buone a fare il solletico a virus che fossero devastanti. C’è chi ha l’abitudine di vaccinarsi sempre, i medici hanno piuttosto l’abitudine contraria. Nessuna autorità sanitaria ha mai sollevato un sopracciglio su un tale comportamento. Che vuoi che sia mai un’influenza stagionale. E avevano ragione, i medici, a non vaccinarsi. Le influenze stagionali sono sempre arrivate e poi sparite tra disastri annunciati e più modeste conseguenze concrete, senza uno straccio di prova che la popolazione vaccinata abbia sortito risultati migliori di quella non vaccinata.
Anche stavolta i medici hanno pensato di continuare come sempre. Ma potevano farla franca di fronte alla più pubblicizzata delle “pandemie”? Quella per la quale decine di milioni in Italia e un paio di miliardi di dosi di vaccino nel mondo sono state acquistate a scatola chiusa? Quella che tiene a casa i bambini dalle scuole non in quanto malati ma in virtù della paura d’ammalare e di essere contagiati? Quella che si dice abbia fatto in America mille vittime, mentre una comune influenza ne fa venti volte tante? No, che non potevano. Ed ecco le autorità sanitarie richiamarsi al loro buon cuore: compite un gesto d’amore verso gli altri vaccinandovi. Ma hanno anche rivolto richiami all’ordine e poco larvate minacce di essere, se pubblici, esonerati dal servizio. E’ scattata la controffensiva. A seguito della quale è probabile che i medici che si vaccineranno saranno uno su tre, magari di più.
Perché credono nella virulenza dell’influenza e nell’efficacia del vaccino? Nient’affatto. Ascoltati a tu per tu, anzi, si lasciano andare ad apprezzamenti che rasentano la scurrilità. Perché nella maggioranza dei medici alberga un sano buon senso fondato sull’esperienza umana e professionale, sulla memoria del passato e l’osservazione del presente. “Ho cominciato a constatare che le malattie pediatriche più comuni, le infezioni ricorrenti delle vie aeree superiori, o le manifestazioni allergiche, erano ridotte nei bambini non vaccinati rispetto a quelli sottoposti alle vaccinazioni”, afferma Eugenio Serravalle, stimatissimo pediatra pisano dall’esperienza trentennale, nel suo ultimo libro “Bambini super vaccinati”. E continua: “Ho iniziato a vedere questa pratica con occhi diversi (…). Ho cominciato a pormi altre domande”.
Una domanda che si è posto riguarda il peso dell’industria del farmaco sulla ricerca e sulle società scientifiche, sul modo di interpretare i fenomeni sanitari e sulle politiche dei governi. Tra i due terzi e i tre quarti degli studi e delle sperimentazioni sui vaccini pubblicati ogni anno sono finanziati dall’industria farmaceutica, hai voglia di cercare su queste riviste articoli meno favorevoli ai vaccini. Così i medici sono i primi scettici verso i vaccini, specialmente verso quelli antinfluenzali, la cui efficacia non è mai stata valutata sul campo. E così, ancora, si trovano magari a consigliare questi vaccini, ma in generale guardandosi dall’assumerli. I loro rappresentanti rilasciano dichiarazioni ultracombattive, ma se l’esempio dovesse venire da loro le decine di milioni di dosi di vaccino anti A (H1N1) resterebbero in gran parte a svernare negli hangar. E questo con tranquilla coscienza, perché lo sanno che vaccino-non vaccino non fa gran differenza.
«Il Foglio» del 30 ottobre 2009

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