13 ottobre 2009

Esiste il libero arbitrio? I cervelloni dicono "no"

A Milano un convegno sulla scienza della mente, applicata ormai a ogni campo: dall’economia all’estetica E un ricercatore italiano annuncia di aver scoperto l’area cerebrale da cui dipendono anche le scelte morali
di Francesca Amé
Sono anni d’oro per le neuroscienze. Sconosciute fino a un quindicennio fa, oggi le case editrici pubblicano a profusione libri sull’argomento; le università dedicano loro nuovi corsi di laurea; e anche i festival culturali si sono accorti del fenomeno. Se è vero che esistono parole dotate di fascino, il prefisso «neuro» ne ha da vendere. H agenerato infatti la neuro-psicologia, la neuro-economia, la neuro-estetica e, ovviamente, la neuro-etica. Come ogni moda, la «neuro-» ha i suoi fan (neuro-maniaci) e i suoi, più rari, detrattori (neuro-scettici).
Tra questi ultimi c’è - paradossalmente, giacché è psicologa e coordinatrice della laurea magistrale in Scienze cognitive e processi decisionali all’Università degli Studi di Milano - Gabriella Pravettoni: da una sua idea, o meglio provocazione, nasce il convegno Neuromania. Il cervello non spiega chi siamo (domani, dalle 9 alle 17, all’Università Statale d Milano). Una ventina di esperti tra medici, filosofi, psicologi ed economisti sono chiamati a riflettere sulle conseguenze dello studio sempre più sofisticato sul cervello umano e se questo approccio possa render conto della complessità del nostro agire. Cominciamo da una notizia: il neurologo Alberto Priori - direttore del Centro per la neuro stimolazione della Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico di Milano presenta in anteprima al convegno i risultati di uno studio «sulla partecipazione alle decisioni sia economiche che morali di alcune strutture del cervello». Priori, che ha lavorato con un team di esperti del Policlinico, dell’Università Statale di Milano, dell’Istituto Carlo Besta, dell’Istituto Galeazzi e del Mondino di Pavia su un campione di 40 persone per un anno, spiega che la ricerca «dimostra che i gangli della base, ossia la parte più profonda del cervello, che si pensava fosse coinvolta solo nelle risposte motorie, partecipano anche a scelte di tipo economico e morali, specie quelle immediate, quasi istintive, che prima pensavamo coinvolgessero la corteccia cerebrale». Scoperta scientificamente rilevante, non vi è dubbio. «Noi siamo molto di più: le nostre risposte derivano da tante variabili e non possono limitarsi a essere osservate solo come masse di sangue in una determinata zona del cervello. Se è vero che negli ultimi anni si stanno compiendo passi giganteschi nelle neuroscienze, non dobbiamo pararci dietro semplificazioni che fanno perdere di vista il valore dell’essere umano, la sua complessità. La mente eccede il cervello», commenta Gabriella Pravettoni.
L’economia, neanche a dirlo, è terreno di caccia prediletto per le analisi dei neuro-maniaci. E per le semplificazioni. «La pretesa di spiegare la crisi in questo modo è aberrante», afferma Giuseppe De Luca, storico economico, che presenta al convegno un intervento dal titolo più che esplicito: Storia delle crisi finanziarie e psicologia: un contributo di troppo? «È miope interpretare il comportamento dei mercati leggendo solo i dati degli ultimi trent’anni: la crisi ha coordinate strutturali che solo uno studio in prospettiva storica può spiegare». Neuro-scettico o neuro-entusiasta? Il filosofo Giulio Giorello, che domani partecipa al convegno, sospende il giudizio: «È indubbio che le neuroscienze abbiano avuto anche per meriti italiani, grazie alla Scuola di Parma e alla scoperta dei neuroni-specchio di Giacomo Rizzolatti, un importante sviluppo. Come spesso accade quando un progresso scientifico penetra in altri territori, si sono trasformate in moda. Questa tendenza può non essere del tutto inutile se stimola la pluralità di approcci, altrimenti è neuro-delirio. Come Kit Carson in Tex Willer, preferisco affidarmi al buon senso».



"Non nasciamo predestinati: si può scegliere"
di Tommy Cappellini
Oggigiorno un soprannumero di scienziati si impegna a più non posso per dimostrarci che non siamo liberi: che quando ci innamoriamo, tiriamo un cazzotto a qualcuno o salviamo una vita, a monte c'è sempre un neurone, un gene, un cromosoma che ha deciso per noi.
Come spiega questo determinismo il genetista Edoardo Boncinelli?
«La domanda è inquadrata in una ideologia in cui sapere equivale a essere schiavi. Ma è l’esatto contrario. Più cose conosco e più elevata è la mia libertà e con essa la mia responsabilità. Sì, esistono delle “condanne” genetiche. Sono le malattie monofattoriali: la distrofia muscolare, la talassemia. Non coprono più dell’un per cento di tutti gli esseri umani. Per i rimanenti, i geni portano solo una “predisposizione” alle malattie, che possono anche non svilupparsi. Dipende pure dallo stile di vita, dipende da noi».
Questo in ambito patologico. Ma in quello morale?
«Essere geneticamente determinati all’omosessualità, a essere dittatori o razzisti, sono tutte invenzioni da gazzettieri. Poco fa ho letto di un gene che predispone alla curiosità, all’istinto esplorativo. Una fandonia. I dati che abbiamo ci mostrano la predisposizione, determinata dai geni, a certi avvenimenti. Niente di più. Non siamo infinitamente liberi, siamo però molto liberi, e quando siamo a conoscenza delle nostre predisposizioni siamo più attenti al nostro comportamento».
È un atto di fede.
«Ma no. Si è detto che i maschi che hanno due cromosomi ipsilon sono predisposti alla violenza. Assurdo: è solo il desiderio, peraltro non condannabile, di scusare chi si comporta male. La neuro-etica come la neuro-estetica, cioè quelli che trovano il senso della bellezza scritto nei geni, è solo una moda giornalistica. In realtà viviamo sempre in un’imponderabilità dei fatti e dei comportamenti. Cioè in una libertà concreta».

«Il Giornale» del 13 ottobre 2009

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