20 settembre 2009

Si parli di Stato, non di nazione

2011, che cosa va celebrato
di Tommaso Padoa-Schioppa
Ricordo le celebra­zioni di Italia 1961: in un Paese giovane e laborio­so crescevano il benessere e la democrazia. Lo studio del farsi dell'unità d'Italia, ripetuto alle elementari, al­le medie e al liceo aveva co­stituito in me, come in mol­ti, la struttura stessa del pensarmi come cittadino. Fui inorridito, trent'anni dopo, quando constatai che in un illustre liceo di Roma il capitolo sul Risor­gimento, uno solo dell'im­menso manuale adottato, era tra quelli che non si chiedeva agli allievi di stu­diare.
Il terzo cinquantenario si celebra in un momento assai più buio non solo del secondo, ma anche del pri­mo, segnato dalle riforme giolittiane. Oggi ministri che hanno giurato sulla Co­stituzione annunciano la se­cessione senza che alcuno strale li colpisca in modo immediato e diretto. Chi ta­ce acconsente. Per il 2011 sono previste, oltre che opere pubbliche, iniziative storico-culturali. E poiché se ne cerca tuttora il filo conduttore, oso una proposta.
Bisogna chiarire bene l'anniversario che sarà cele­brato; finora il dibattito pubblico ha del tutto man­cato di farlo. Nel 2011 si ce­lebrerà non la nascita della nazione italiana (un fatto di cultura), bensì la fonda­zione dello Stato italiano (un fatto politico e istituzio­nale). La nazione esiste dal Medioevo, precede addirit­tura il formarsi della tede­sca, francese, spagnola, bri­tannica. La lingua parlata oggi in Italia assomiglia a quella di Dante come nessu­na lingua europea assomi­glia al suo progenitore del XIII o XIV secolo. E ha seco­li di storia non solo la nazio­ne, ma anche la coscienza di essa da parte degli spiriti illuminati: basta rileggere Dante, Petrarca, poi Machia­velli.
Soltanto dopo secoli di divisione, asservimento, de­cadenza materiale e civile, crebbe e si realizzò l'idea di dare all'Italia uno Stato, isti­tuzioni, leggi, poteri. La pe­culiarità della storia italia­na non è la nascita recente della nazione, è la combina­zione di una nazione preco­ce e di uno Stato tardivo. Finalmente, nell'Ottocen­to, lo Stato italiano nasce e nel 2011 è dunque di questo che si deve parlare. Tanto più che molta, molta mate­ria ci impone di riflettere, di compiere un esame di co­scienza, di correggere com­portamenti e istituzioni. Nell'Italia di oggi ce n'è per ogni regione e per ogni ce­to, per la parte pubblica e per la privata.
Tutte le celebrazioni del 150˚dovrebbero ruotare, a mio giudizio, intorno a un solo grande tema: lo stato dello Stato italiano . È que­sto — oggi, ma in realtà da tempo — l'organo malato dell'Italia, quello la cui pato­logia sta facendo deperire l'intero corpo sociale, l'eco­nomia, la terra e le acque, la cultura, la scienza, il rap­porto con la sfera religiosa. Non è un'esagerazione af­fermare che dei 150 anni trascorsi dal 1861 forse la metà sono stati consacrati alla costruzione dello Stato italiano; altrettanti a una ve­ra opera di distruzione che si è fatta più intensa negli ultimi decenni e ancor più negli anni recenti. È una du­ra affermazione che può (e dovrebbe) essere documen­tata in modo specifico pro­prio all'avvicinarsi dell'anni­versario al fine di preparare un riscatto. Sono ormai gravemente minacciati la democrazia, principi fondamentali del­lo Stato di diritto, la preser­vazione del patrimonio arti­stico, l'ambiente naturale, il fatto stesso di essere uno Stato unitario. Lo Stato, non la nazione, è e deve essere il tema di Italia 2011.
«Corriere» del 20 settembre 2009

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