28 settembre 2009

Il poeta che diede senso al nulla

L'omaggio dello scrittore Yves Bonnefoy al grande autore, mentre torna, arricchito, il Meridiano a lui dedicato
di Yves Bonnefoy
Giuseppe Ungaretti: un'arte che coglie l'essenza, modello per Oriente e Occidente Il ricordo «Lo incontrai nel 1967 a Londra. Mi fece pensare a un contadino, una parola che in saggezza e tenacia abbraccia tutte le contrade dell'umanità»
Nella storia della ricezione critica delle opere di Giuseppe Ungaretti, questo 2009 non passerà inosservato. Con il nuovo Meridiano delle sue poesie complete, a quarant' anni di distanza dalla prima edizione, si offre infatti al lettore uno straordinario strumento di lavoro. E non solo di lavoro, naturalmente. La raccolta esaustiva di questa grande opera poetica è un dono per tutti quelli che amano Ungaretti o sono destinati ad amarlo. È un libro che molti metteranno in grande rilievo nella loro biblioteca, oppure si porteranno in viaggio - perché in valigia non occupa troppo spazio. Di certo la prima e irresistibile reazione di chiunque si assuma il compito di segnalare questa definitiva Vita d'un uomo non potrà che essere di ammirazione: ammirazione per il lavoro critico che l' ha consentita, impresa di ampio respiro magistralmente condotta da Carlo Ossola, che ha scritto il saggio introduttivo e ha affidato a Francesca Corvi e Giulia Radin il compito di stabilire le varianti del testo, nonché di redigere insieme a lui il commento alle diverse raccolte di Ungaretti, commento affiancato dalle indicazioni e riflessioni del poeta stesso che occupano molte pagine appassionanti e insostituibili. Il volume è completato da cinque saggi su Giuseppe Ungaretti, ripresi dall' edizione del 1969: insomma, un lavoro monumentale. È certamente l' edizione definitiva dell' aspetto più importante nella multiforme produzione di questo poeta (di cui i Meridiani hanno peraltro pubblicato anche le altre parti, Saggi e interventi e Viaggi e lezioni, e alle quali prossimamente si aggiungerà il corpus delle traduzioni). Personalmente, non sono che un lettore straniero del grande italiano e non posso presumere di apprezzare da competente questo apporto critico, nutrito com' è da una conoscenza sconfinata della storia letteraria italiana. Mi asterrò anche dall' entrare nei dettagli di tutto ciò che in queste note e commenti scopro su Ungaretti in Francia; Ungaretti, le cui poesie francesi compaiono naturalmente nel volume suggerendo accostamenti - e qualcosa da dire ci sarebbe anche a proposito di Reverdy - che vanno al di là delle amicizie e delle influenze note, da Apollinaire a Bergson, da Cendrars a Jean Paulhan o André Breton. Mi limiterò a un' osservazione, ispirata dal notevolissimo saggio introduttivo di Carlo Ossola, e a una rievocazione, il ricordo di un incontro che questa edizione illumina di nuova luce. L' osservazione riguarda la poesia stessa di Ungaretti, in quanto questa raccolta delle sue poesie e il loro commento mi mostrano con inedita evidenza fino a che punto questo poeta sia nostro contemporaneo per il semplice fatto di essere poeta: poeta eterno, poeta che vive la poesia in ciò che in essa permane di più essenziale e dunque di immutabile, che nessun abbaglio o confusione di opere di minor portata potrà mai offuscare. In cosa si manifesta tale modernità e atemporalità? In un sentimento del nulla che soggiace a tutto ciò che per noi è, ed è importante, e subito dopo nella decisione, altrettanto spontanea e irrevocabile, di trasformare quel nulla in poesia, essendo la parola poeticamente rinnovata il luogo di uno scambio che possiamo concepire come l' essere stesso. Come suggerisce Carlo Ossola, ci si deve soffermare sulla breve poesia che apre l' edizione definitiva di L' Allegria; due soli versi, intitolati «Eterno»: «Tra un fiore colto e l' altro donato / l' inesprimibile nulla». Con il che si dice, nella più pura logica leopardiana, che tutto è nulla, ma che nella poesia che non rinnega se stessa il dono, lo scambio, il riconoscimento dell' Altro sono in grado di trionfare sul nulla. E quando leggo gli scritti di Ungaretti sull' arte barocca e su Michelangelo (secondo lui - non a torto - inventore di quell' arte), quando vedo che per definirli egli ricorre a parole come «il sentimento dell' orrore del vuoto, cioè dell' orrore di un mondo privo di Dio», constato fino a che punto coloro che fanno poesia possano, ancora oggi, identificarsi con lui allorché si abbandonano all' esperienza fondamentale che costituisce la grandezza e l' azzardo della scrittura. Oggi, e in Occidente; non meno però che in Oriente. Perché, quando attinge così alla propria essenza, la poesia coincide con l' intuizione che si trova all' origine del buddismo e del taoismo. Il che mi conduce alla rievocazione che annunciavo. È la rievocazione di Ungaretti stesso, così come mi apparve la prima volta nei pochi e soli giorni in cui ebbi la possibilità, la fortuna e l' onore di incontrarlo. Era il 1967, a Londra, dove si svolgeva, per una settimana, il convegno «Poetry International», che per iniziativa di Ted Hughes riuniva quell' anno un gruppo particolarmente rappresentativo di grandi poeti dell' epoca: c' erano infatti, tra gli altri, Pablo Neruda e Octavio Paz, John Berryman e Anne Sexton, Robert Graves, W.H. Auden, Hugh Mac Diarmid, Ingeborg Bachmann. E Ungaretti. Ricordo che un mattino eravamo più d' uno ad attendere lui, che arrivava dall' Italia, davanti alla porta di un ascensore. La porta si aprì e apparve il vecchio poeta, appoggiato a un bastone ma anche al braccio di Allen Ginsberg che dopo il loro recente incontro - a Roma, credo - si era improvvisato, con la gentilezza che gli era propria, sostegno della sua vecchiaia. Guardai Ungaretti con l'interesse che si può immaginare. Colui che vedevo dinanzi a me non era forse il grande spirito che aveva rifondato la poesia italiana, nonché il poeta bilingue che aveva lasciato la sua indelebile impronta su uno dei momenti decisivi dell' avanguardia francese? Non era forse un europeo come mi auguravo che ce ne fossero, in quel momento della storia in cui cominciavamo a sperare che il nostro disgraziato continente provasse infine a mettere in comune le sue immense risorse di pensiero e di poesia? Eppure, di primo acchito, quel vecchio che apparve sulla soglia dell' ascensore più che a uno dei soliti intellettuali mi fece pensare a un contadino, nel senso più ampio di questa parola la quale in saggezza e tenacia abbraccia tutte le contrade dell' umanità. Un italiano, certo, Ungaretti, ma con in sé tutto ciò che la storia della penisola aveva mescolato nelle civiltà, pagane e poi cristiane, che in essa si erano succedute. Un viso che sembrava risalire dal fondo dei tempi, portatore di un' evidente capacità di comunicare con potenze ctonie e di non sentirle come malefiche, purché con esse si sapesse parlare. In quel riso e in quelle rughe, la stessa generosità e malizia, lo stesso volto, la stessa maniera di essere nel mondo di certe maschere dell' arte contadina giapponese che raffigurano il vecchio saggio e benevolo, per sua natura guaritore. Ungaretti: la prova, con la sua presenza, che la poesia non è anzitutto un testo bensì un soggetto, un ascolto. Che la poesia è sì insostituibile, ma lo è in quanto esercizio che permette di rendere più intenso e perenne questo modo di porsi dinanzi agli altri, e dinanzi al nulla, e al mondo che l' umanità le contrappone. Di fronte a questo Meridiano, ringrazio i suoi curatori, che anch' essi, nelle poesie, ci fan vedere un volto. Che confermano che la parola è volto.
(Traduzione di Gabriella Mezzanotte)
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d' Egitto nel 1888 e morì a Milano nel 1970. Tornato in Italia dopo un soggiorno a Parigi, partecipò alla Grande Guerra Yves Bonnefoy, nato nel 1923, è un celebre poeta e saggista francese La raccolta delle liriche di Ungaretti inaugurò, nel 1969, i Meridiani Mondadori. Oggi la collana diretta da Renata Colorni ripropone il volume in una versione arricchita e ampliata, con due poesie inedite. «Giuseppe Ungaretti, Vita d' un uomo» (pp. CLIV- 1.435, 55), è a cura di Carlo Ossola, autore anche del saggio introduttivo.

«Corriere della Sera» del 27 settembre 2009

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