18 settembre 2009

Giornali, ritorno all’etica (1)

Zucchelli: «Persone attaccate con il metodo dei giacobini»
di Edoardo Castagna
« Quello che sta capitando alla stampa italiana è la logica conseguenza di uno stile ormai in cam­po da tempo». Giorgio Zucchelli, pre­sidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici, nota che i toni e i contenuti delle ultime campagne «mo­strano la concezione della vita, e quin­di del giornale, che si ha alle spalle: conta soltanto vendere, fare audience per avere più pubblicità – fare soldi. Nulla a che ve­dere con un’informa­zione al servizio dei cittadini. E l’assurdo è che questo metodo non paga: di fatto, si registra un continuo calo delle vendi­te dei giornali».
Perché insistere, allora? «Occorre ricordare che l’informazione italiana è molto schierata politica­mente, da ben prima dei fatti degli ul­timi mesi. Non abbiamo giornali vera­mente liberi e indipendenti da poteri politici ed economici, al punto che pos­siamo individuare la collocazione po­litica di una persona semplicemente sapendo quale giornale legge. È molto difficile trovare una testata che stia dal­la parte di chi lo legge e non di chi lo guida, e che faccia il suo servizio di cri­tica nell’interesse del bene comune. I giornali fanno lotta politica e, come se non bastasse, di una politica di bassa lega, rimanendo sempre soltanto alla superficie delle cose in attesa di ogni occasione buona per attaccare l’avver­sario – anzi: il nemico. Mai che si ap­profondisca, che si dia al lettore la pos­sibilità di valutare concretamente la tal legge o il tal avvenimento. Perfino la cronaca esalta oltre ogni limiti i fatti di sangue fino all’assurdità di processi tra­scinati in televisione per mesi, sera do- po sera, mentre invece si trascurano tanti altri aspetti della vita del Paese ben più importanti».
E le ultime campagne scandalistiche sono anche conseguenza di questa im­postazione culturale? «Certo. Ma c’è stato di più, un salto, per­ché si è alzato il tiro direttamente sul­le persone. Non è accettabile che la bat­taglia politica nei confronti del presi­dente del Consiglio – piaccia o meno la sua figura e la sua politica – sia fatta per anni prima per via giudiziaria, e poi dal buco della serratura, delegittimando­lo dal punto di vista etico per farlo ca­dere dal punto di vista politico. Lo stes­so è successo con Dino Boffo, attacca­to personalmente e violentemente per minarne il ruolo nell’informazione – e qui purtroppo il gioco ha funzionato. Ma questo è il metodo giacobino».
Si dice: «Avevo una notizia e dovevo pubblicarla, la gente ha diritto di sa­pere »... «Ridicolo. Chiunque conosca i gior­nali sa che i direttori devono cestina­re centinaia di notizie ogni giorno, perché non c’è fisi­camente lo spazio per metterle tutte. Vengono sempre fatte scelte, in base alle idee che si han­no, e spesso si sacrifi­cano quelle più im­portanti dal punto di vista sostanziale: quelle, la gente non ha il diritto di sapere? È un atteggia­mento farisaico. Il gioco è facile, quan­do la tal ipotesi buttata lì sul giornale diventa di solito, nella mente di un let­tore, un fatto reale. È vero che il gior­nalista scrive 'potrebbe essere così', ma nella mente del lettore quel condi­zionale diventa un indicativo: 'è così'. Oppure, altro mezzuccio: non si rac­conta – e quindi non si verifica – la no­tizia direttamente, ma la si fa raccon­tare da altri, dal 'testimone' di turno: se è falsa, affari suoi. Ci si copre le spal­le e intanto si getta l’amo, nella consa­pevolezza che tanto la cultura di mas­sa non fa distinguo: tutto si semplifica, tutto diventa vero, tutto diventa falso».
E questo paga? Il presidente Fisc: «Invece di dare spazio alle notizie che contano davvero si 'spara' per vendere». «Forse, politicamente. Certo Feltri ha aggredito anche per vendere, ma sono cose che funzionano solo sul breve ter­mine. L’esperienza dei settimanali cat­tolici, con il loro milione di copie set­timanali complessive, mostra al con­trario che non è vero che la gente ri­fiuta le testate che scrivono in manie­ra breve, chiara e soprattutto cercando di spiegare veramente i problemi».
«Avvenire» del 9 settembre 2009

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