29 settembre 2009

Finiremo travolti dall’ebbrezza comunicativa?

Una nuova rivoluzione con l’arrivo dell’Iphone
Di Giuseppe O. Longo
C’è voluto un anno perché l’iPhone della Apple valicasse l’Atlantico e giungesse in Italia, dove si presenta con molte migliorie rispetto al modello lanciato in Usa il 29 giugno del 2007. Tanto che questo apparecchietto comincia davvero a prefigurare quella connessione totale che, da quando è comparso il telefono cellulare, è il sogno dei costruttori e dei tecnofili. Questa scatoletta fa di tutto (o quasi, ancora non prepara il caffè): è un telefonino a quattro bande, è un palmare, è un iPod audio e video, naviga in internet, gestisce le e­mail, scatta foto digitali da molti megapixel... È dotato di uno schermo sensibile al tocco di più dita e possiede un hardware e un software eccellenti. Mi fermo, per non dar l’impressione di essere un agente della Apple e per fare qualche riflessione.
In primo luogo, da tempo l’offerta tecnologica supera largamente la domanda, creando bisogni inediti e soddisfacendoli quasi prima che vengano percepiti (l’effetto annuncio crea un’aspettativa enorme).
Quando il bisogno è stato inoculato non si torna indietro: chi potrebbe oggi vivere senza cellulare e domani senza iPhone?
Questa assuefazione ha tutti i caratteri dell’etilismo o dell’intossicazione da droga: per esempio provoca gravi crisi di astinenza. Chi riesce a stare troppo tempo lontano da un computer che gli consenta di controllare la posta elettronica? E domani, quando con l’iPhone avremo addirittura in tasca il sensibile e caldo contatto col mondo virtuale, chi potrà fare a meno di questa rassicurante placenta, che ci unisce alla grande matrice planetaria?
In secondo luogo, l’iPhone attua il fenomeno della 'convergenza': dispositivi che un tempo erano separati perché eseguivano funzioni distinte, oggi tendono a presentarsi in unità polifunzionali che parlano tra loro in digitale e che collegano uomini a uomini, uomini a macchine e, fatto nuovo, macchine a macchine. Il grande circuito della comunicazione si svolge sempre più fuori dell’uomo e crea un’impalpabile ma concretissima 'infosfera' in cui non si trascinano più i faticosi atomi della materia, ma turbinano sciami vorticosi di bit. E i vertiginosi progressi della tecnologia provocano un calo continuo dei costi: oggi comunicare a voce o per e-mail, registrare foto, musica e quant’altro, costruirsi una pagina web con centinaia di rinvii, partecipare insomma alla grande kermesse della società dell’informazione non costa quasi nulla.
Questo abbattimento dei costi (che riguarda anche l’iPhone, manco a dirlo) provoca un’ebbrezza comunicativa che ha almeno due effetti vistosi: tutti possono, quindi vogliono, dire la loro, a prescindere dal contenuto di saggezza o di idiozia del messaggio; e tutti vogliono essere informati 'in tempo reale' di ciò che accade nel mondo, in borsa, nello sport, a casa, nel bar all’angolo, esercitando una spiccata tendenza al voyerismo (non solo visivo). In secondo luogo, questo connessionismo esasperato – cui non si rinuncia nemmeno per un istante, pena una grave sofferenza psichica (sono connesso dunque sono) – spinge sempre più ad evadere nella virtualità della rete: se non fosse per le fastidiose necessità fisiologiche, quanto sarebbe bello dissolversi in un nugolo di dati e viaggiare nel cyberspazio senza peso e senza pensieri! Uomo e iPhone costituiscono già un simbionte cognitivo e comunicativo: ciascuno, munito di questo piccolo grande supplemento del sé, salpa verso la grande Mente planetaria che tutti ci accoglie e tutti forse ci dissolve.
«Avvenire» dell’8 luglio 2008

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