18 settembre 2009

Bibliofili o internauti: un conflitto generazionale?

La sfida della degitalizzazione dei libri
di Alessandro Zaccuri
All’inizio, per chi a­mava i li­bri, Internet era un sogno che si avverava. Volevi consultare la Bi­blioteca del Con­gresso a Washington? Prima del World Wide Web dovevi mettere in conto, come minimo, un volo transoceanico. Adesso bastavano due clic e il catalogo era a tua di­sposizione Quando si è iniziato a parlare di biblioteche digitali, poi, poco mancava che ci commuoves­simo. Indicavi un volume al moto­re di ricerca (Google, chi altri?) e qualche secondo dopo avevi già scaricato il pdf. Fantastico, quando si tratta di opere fuori commercio, risalenti per esempio all’epoca d’oro dell’erudizione ottocentesca. Magari un po’ farraginosa, non si discute. Ma vuoi mettere il fasci­no? Oggi come oggi nessun editore si metterebbe in testa di ristampa­re o peggio tradurre gli studi del benemerito J. Payne Collier sulle fonti di Shakespeare. Ben venga Google Books, quindi. Ben venga il sogno realizzato di tutti i libri a portata di mouse.
I bibliofili sono gente strana, ama­no il contatto fisico con la pagina, tollerano la polvere come un pic­colo male necessario, però prima o poi, se qualcosa non funziona, a­prono gli occhi anche loro, e non necessariamente per controllare i dati riportati su un frontespizio.
Ecco perché la battaglia che in questi giorni si sta combattendo a Bruxelles li riguarda da vicino.
Molto da vicino. Si tratta di questo: l’impresa avviata da Google Books (oltre 60 milioni di opere già digi­talizzate, e scusate se è poco) si ba­sa su un accordo con le autorità a­mericane, in conseguenza del quale gran parte dei libri risultano 'liberi da diritti' a meno che non siano catalogati in un apposito re­gistro.
Una procedura che, di fatto, mette nell’angolo gli editori europei (e i­taliani in particolare), che si trove­rebbero nella condizione di recla­mare soltanto a digitalizzazione già avvenuta. La questione, in ap­parenza, è strettamente giuridica, confinata in quella particolare branca del diritto che è, per l’ap­punto, il diritto d’autore. Le conse­guenze, tuttavia, sono di portata più vasta e riguardano, in definiti­va, il valore che ciascuno di noi è disposto a riconoscere al libro. Che è un oggetto, d’accordo, ma è an­che e soprattutto un mondo in mi­niatura, un universo tascabile, un concentrato di idee ed emozioni.
Potrà sembrare sbrigativo, ma l’impressione è che – ancora una volta – il discrimine sia di tipo ge­nerazionale. Fra chi c’era 'prima', e ha conosciuto la fatica di cercare tra scaffali e bancarelle una certa edizione o una determinata opera fuori catalogo, e chi è arrivato 'do­po', quando tutto sembra imme­diatamente disponibile e liofilizza­to online. Non a caso, uno dei più grandi critici letterari d’Europa, Jean Starobinski, ha dichiarato che Internet può diventare, nello stes­so tempo, la Biblioteca di Alessan­dria e la Cloaca Maxima. Dipende da quello che cerchi. E quello che cerchi, il più delle volte, è esatta­mente quello che trovi.
Bene ha fatto l’Aie (l’associazione che riunisce gli editori italiani) a commissionare e produrre le ri­cerche che sono all’origine del ri­corso in sede europea. Ma lo scontro che si profila è, per para­dosso, tanto moderno quanto an­tiquato. Già nel XIX secolo, infatti, la disinvoltura delle case editrici a­mericane aveva causato più di un grattacapo all’industria culturale del Vecchio Continente. Oggi la storia si ripete, accelerata dal mol­tiplicatore di Internet. E i bibliofili, nel frattempo, iniziano a doman­darsi se non valga la pena di colle­zionare anche i pdf.
«Avvenire» del 9 settembre 2009

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