04 agosto 2009

L’Arcipelago rimosso

Uno studio accusa la critica di aver ignorato la visione del mondo dello scrittore russo scomparso il 3 agosto di un anno fa
Di Edward E Ericson Jr.
Per Solzenicyn la realtà ultima delle cose consiste nel regno trascendente, e i prin­cipi morali fanno parte della creazione di­vina allo stesso titolo degli elementi naturali e degli esseri umani. Questi principi non sono né auto-generati, né costruiti dall’uomo. Una delle numerose componenti tematiche di questo uni­verso morale — la giustizia — emerge nello svi­luppo di Gleb Nerzin, l’alter ego dell’autore in Primo cerchio. Avendo attraversato le fasi del marxismo giovanile e del successivo scetticismo, alla fine il personaggio approda all’idea che la «giustizia non è mai relativa», ma anzi è «la pie­tra angolare, il fondamento dell’universo», e che «siamo nati con il senso della giustizia nell’ani­ma ». Queste riflessioni fanno parte dello sforzo co­sciente di Nerzin di elaborare una propria visio­ne del mondo, attraverso le continue discussioni con i due amici della šaraška di Marfino, ognuno dei quali ha una propria visione ben delineata: Lev Rubin il marxista e Dmitrij Sologdin il cri­stiano. Nello stesso romanzo anche Innokentij Volodin rivede la propria visione della vita e del mondo. Se prima agiva secondo il principio «si vive una volta sola», attraverso una dura espe­rienza, arriva a comprendere che «si ha anche u­na coscienza sola». Volodin arriva addi­rittura a po­stulare l’idea di «una giu­sta visione del mondo».
La letteratura critica della visione del mondo non è fine a se stes­sa, ma aiuta una lettura intelligente. Il credere nel mondo morale dà for­ma all’autocoscienza di Solzenicyn anche come scrittore.
Nel suo discorso per il premio Nobel Solzenicyn descrive due tipi di artisti. Il suo tipo di artista «riconosce sopra di sé un potere più alto e lavora gioiosamente come un umile apprendista sotto il cielo di Dio» e «non ha alcun dubbio sul fonda­mento di questo mondo». L’altro tipo di artista «immagina di essere il creatore di un mondo spi­rituale autonomo» che riceve impeto dalla pro­pria esperienza soggettiva, la sua concezione della letteratura dipende dall’idea del proprio e­go autonomo. In tal modo incarna ciò che Solzenicyn identifi­cava nel suo discorso di Harvard come «autono­mia umanistica», o «antropocentrismo» che è il nucleo della visione del mondo del modernismo filosofico scaturito dall’Illuminismo. Solzenicyn si scaglia contro questa concezione del mondo moderna, così come contro il suo discendente bastardo, il post-modernismo. Nei decenni suc- cessivi ai due saggi scritti da Šmeman, altri criti­ci occidentali hanno seguito la sua linea e hanno sviluppato quanto egli aveva iniziato. La raccolta di saggi che sarà pubblicata da Russkij put’ ha come premessa il fatto che la generazione attua­le di studiosi russi di Solzenicyn, che è poi anche la prima, si avvicina molto di più all’approccio standard degli studi occidentali su Solzenicyn che non alla critica della visione del mondo svi­luppata da un gruppo abbastanza ristretto di cri­tici occidentali. Far conoscere al grande pubbli­co questi studi controcorrente e spesso trascura­ti, è forse il miglior servizio che l’Occidente pos­sa fornire in questo momento ai russi che stu­diano Solzenicyn. Questi studi colmano il vuoto lasciato dagli studi accademici convenzionali.
Richard Tempest, promotore del convegno su Solzenicyn all’Università dell’Illinois nel 2007, osservava nel suo intervento che, al di là dei me­riti di certi studi strutturalisti, lo scrittore è stato, stranamente, molto poco studiato. Come mai?
Immaginiamo per un momento un futuro stu­dioso che ne indaghi il motivo. Sicuramente questo studioso troverà un grande distacco tra Solzenicyn e i dipartimenti accademici che do­vrebbero studiarlo. Il nostro studioso immagina­rio descriverà la rivoluzione avvenuta negli studi accademici occidentali verso la fine del XX se­colo, quando la teoria (a volte con la lettera maiuscola) diventa l’interesse principale degli studiosi.
E questa considerazione lo porterà a vedere al­cune discrepanze clamorose tra l’autore e gli studi accademici. E osserverà che l’approccio teoretico ha eclissato l’interesse per la letteratu­ra in sé, che ha svalutato la lettura diretta delle opere letterarie per quello che sono, e ha innal­zato l’atto critico a un tale grado di importanza da rivaleggiare se non addirittura superare l’atto creativo; e cercherà di capire come questi svilup­pi possano aiutare a capire meglio l’opera di Sol­zenicyn.
E si chiederà come l’interesse crescente in mate­ria di razza e di genere possa servire a illuminare il cuore della visione morale di Solzenicyn. E ri­fletterà come la morte dell’Autore si possa con­ciliare con una produzione letteraria così forte­mente autobiografica come quella di Solze­nicyn. E si chiederà come possa un critico fon­dato su presupposti relativistici affrontare l’opera di un autore certo del carattere fondamentalmen­te non arbitrario della vita morale. E capirà allora il rapporto problematico fra un autore che assu­me valori universali metastorici come la natura u­mana non modificabile e l’ordine morale oggetti­vo, e un critico che accetta la contingenza storica come spiegazione sufficiente di qual­siasi convinzione. E dal momento che queste domande ne genera­no un’altra serie infinita, il nostro futuro studioso po­trebbe giustamente ar­rivare a chiedersi: perché mai un membro di un diparti­mento di letteratura dovrebbe es­sere indotto a dedicare una parte significativa delle sue energie per studiare la visio­ne del mondo di un autore i cui valori sono così sfaccia­tamente in contrasto con i concetti che il critico ha così cari? Solze­nicyn, come ha detto Treadgold, sarebbe effettiva­mente un vero e­nigma per certi critici.
"Avvenire" del 1 agosto 2009

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