30 luglio 2009

La tradizione ci salverà dal nichilismo

Per il filosofo torinese Giuseppe Riconda la rivelazione cristiana è l’unica risposta all’odierno relativismo etico che ha contagiato le nostre società
Di Francesco Tomatis
«Oggi per la prima volta sappiamo che la fine dell’uomo è possibile: le catastrofi ecologiche, la possibilità di guerre atomiche... , i pericoli della biotecnica legati alla diffusione sempre più invadente del pensiero strumentale la rendono certamente tale». A sostenerlo è Giuseppe Riconda, filosofo cattolico torinese, cresciuto alla scuola di Augusto Guzzo e Carlo Mazzantini, erede assieme di Augusto Del Noce e Luigi Pareyson, con i quali l’amicizia e il dialogo filosofico furono assidui e continui. Non a caso Riconda è stato presidente sia del Centro Studi Filosofico­religiosi Luigi Pareyson di Torino, sia della Fondazione-Centro Studi Augusto Del Noce di Savigliano, depositarie degli archivi dei due grandi pensatori cattolici italiani.
In questo ponderoso volume, Riconda non solo denuncia gli esiti ultimi dell’ateismo, del nichilismo e del relativismo, ma elabora anche un pensiero religioso o tradizionale capace di essere una risposta profonda, radicale al pensiero strumentale il quale non può che condurre alla scomparsa dell’uomo. La proposta filosofica di Riconda è precisamente quella di un «personalismo ontologico, antinomico ed escatologico», elaborata attraverso un costante confronto con autori come Del Noce e Pareyson, ma anche con Rosmini e Dostoevskij, Šestov e Grossman, Guzzo e Mazzantini, Schelling e Lequier. Parlando di personalismo ontologico Riconda intende sintetizzare in uno le prospettive di Pareyson e di Del Noce. La filosofia di Pareyson è stata infatti essenzialmente un personalismo, cioè incentrata sulla persona intesa come esercizio di libertà. Tuttavia, a differenza di certi esistenzialismi atei o certe ermeneutiche relativistiche, la prospettiva pareysoniana, come sottolinea Riconda, è veritativa e ontologica. La persona esercita la propria autonoma libertà solo in quanto consapevole di essere aperta all’essere, incarnazione della verità, posta dalla trascendenza, creata libera da Dio.
L’affermazione atea di libertà di fatto è una pseudo­autoaffermazione egoistica, la quale non salva neppure se stessa, non comprendendo l’origine altra, trascendente, teonoma, della propria stessa proclamata libertà e autonomia. Dalla prospettiva di Del Noce, invece, Riconda fa emergere l’ontologismo, il riconoscimento del primato dell’essere, innato all’uomo anche se non necessaristicamente qualificato, rivelativo della presenza di Dio nel mondo umano benché scevro da panteismo nel riconoscimento del peccato originale caratterizzante la situazione storica. Peccato originale che anziché condannare assolutisticamente il finito alla morte e al nulla ne spiega piuttosto l’origine della caducità rivelandone anche la possibile redenzione ed eterna salvazione.
Inoltre Riconda caratterizza il proprio personalismo ontologico inoltre come antinomico ed escatologico. Infatti il rapporto fra persona ed essere, essendo sempre storico, collocato in un divenire fatto di situazioni finite, non può non comportare una continua scelta e lotta del bene rispetto al male, dell’essere in contrasto con il non-essere, caratterizzando quindi il personalismo ontologico anche come tragico o antinomico.
Questo è il vero senso di tradizione approfondito da Riconda. La tradizione non consiste in una conservazione o restaurazione di valori del passato, cristallizzati in istituzioni o forme storico­culturali trascorse, in ciò legati quindi alla mera storicità.
Tradizione significa piuttosto attingere in ogni presente storico, orizzonte personale sempre in divenire, ai valori metastorici, inesauribili nella loro verità eppure incarnabili nelle incessanti interpretazioni di essi che le singole persone e comunità si sforzino di essere, con fatica, nel dialogo e anche nella lotta, in un continuo esercizio di libertà. Per questo motivo il pensiero tradizionale non solo è antinomico, ma anche escatologico, aperto alla vita oltremondana, nella quale soltanto ogni contraddizione fra bene e male, verità e vita, storia ed eternità, finitezza e infinità sarà superata, come solo l’esperienza religiosa, nella speranza, sa rivelativamente indicarci. Per questa consapevolezza che l’uomo stia nella storia ma aperto all’escatologia, il pensiero tradizionale, ispirato alla rivelazione cristiana tramandata dalla Chiesa cattolica, è secondo Riconda la migliore risposta al totalitarismo tecnocratico della globalizzazione, ultima forma di nichilismo ateo e relativistico.
Infatti proprio tale pensiero religioso cristiano contempla in sé l’ateismo stesso, sapendolo affrontare e vincere come proprio momento interno. Il pensiero religioso stesso comporta la laicità stessa in sé, dal momento che la verità da esso attinta non è imposta ideologicamente, ma affidata alla libertà di scelta personale di ciascun singolo, che può scegliere il vero e il bene solo nel raffronto e nel confronto con l’errore e il male, realizzare l’essere soltanto di fronte alla possibilità del nulla. Per il pensiero religioso o tradizionale, proprio perché Dio lo ha creato, l’uomo è libero. Dio stesso attende la libertà dell’uomo e l’uomo non è veramente libero se non comprende la verità dell’esser stato creato libero da un altro: che tale altro lo si creda Dio, come per i credenti, o che non lo si qualifichi, pur ammettendolo nella sua trascendenza, come per i non credenti. Comunque, solo tale idea di Dio o di trascendenza, è l’unica idea di qualcosa di superiore all’uomo che non si risolva in oppressione o soppressione dell’uomo.

Giuseppe Riconda, Tradizione e pensiero, Edizioni dell'Orso, pp. 408, € 25,00
"Avvenire" del 25 luglio 2009

Nessun commento: