28 giugno 2009

E Risé «psicanalizza» la mentalità abortista del mondo di oggi

di Marrina Corradi
L’ aborto in Occidente è legale da oltre trent’anni. L’aborto è 'normale'. È normale, ormai, assumere pillole che espellono il prodotto del concepimento. È normale anche, in molti Paesi, selezionare, tra i figli possibili, quello sano, e cancellare gli altri. Ma quale forma mentis, quale visione del mondo sta dietro questa 'normalità', al suo tacito favor mortis? L’aborto, è vero, clandestinamente c’è sempre stato. Ma non avrebbero pensato, i nostri genitori, che le nipoti adolescenti avrebbero avuto a disposizione una pillola che elimina un figlio come si elimina un mal di testa. In cosa, profondamente, siamo cambiati? In La crisi del dono. La nascita e il no alla vita (San Paolo, pagine 154, euro 12,00) lo psicoanalista Claudio Risé compie un viaggio alla ricerca delle radici di questa metamorfosi, di questo 'no' alla vita che, oltre le scelte individuali, è diventato costume collettivo. Psicoanalisi, dunque, della mentalità abortista: di quella oscura tendenza ad avversare il nuovo che è rappresentato da un figlio, da una vita in divenire che si presenta, ansiosa di vedere la luce. C’è sempre stata, sostiene Risé, negli uomini questa tendenza a difendere tenacemente l’esistente, a preservare lo status quo del proprio potere e dei propri averi dall’incognita di nuove vite che trasformino il mondo. È una vecchia storia, che comincia con Crono, il dio che divorava i suoi figli. Figli fagocitati, figli salvati con l’inganno, pianti da madre e ancelle come morti in culla, per proteggerli da padri minacciosi: la mitologia è piena di queste immagini terrifiche. Ed è singolare come la figura di Crono, poi divenuto Saturno, simboleggi da millenni la malinconia. Colui che divora i suoi figli, viene divorato da una cupa tristezza. Come nella famosa Malinconia di Albrecht Dürer, che regge una borsa, e un mazzo di chiavi: la borsa, annotò l’artista, è la ricchezza, e le chiavi il potere. Abbondano poi, in quella stessa famosa incisione, gli strumenti di calcolo geometrico e matematico. Crono-Saturno è un calcolatore, è colui che pretende di tracciare la propria vita pianificandola oculatamente solo secondo la propria misura. Il materialismo malinconico di Saturno assume la veste di icona del nostro tempo: di un tempo che calcola, controlla, seleziona, ammette o no alla vita, si chiude in uno sguardo che in fin dei conti reifica l’altro nascente in una valutazione utilitaristica: tu, mi convieni o no? L’archetipo del potente, del ricco che si oppone alla nascita di un nuovo che potrebbe travolgerlo si incarna anche, agli albori del cristianesimo, in Erode: un vecchio pauroso e avido, tendente a un controllo paranoide della realtà, che tenta disperatamente di mantenere il suo potere mediante una strage di infanti fra cui, gli è stato annunciato, c’è un nuovo re. E certo è nel cristianesimo che l’archetipo del Bambino come inizio di un nuovo mondo, di nuova vita, ha la sua espressione più straordinaria e potente. Ma la proposta di Cristo, la rinascita che coinvolge dinamicamente l’uomo, è accolta con curiosità e timore da Nicodemo, che da Cristo si reca, vergognoso, di notte, che esita: «Come può un uomo nascere quando è vecchio?». E anche nella paura di Nicodemo, tracce di quel movimento oscuro che invecchia il mondo: la difesa ossessiva dell’esistente, la definisce Risé.
Ma perché, nell’oggi, questa difesa sembra diventata una muraglia, una roccaforte da cui è abituale gettare le vite dei nascituri inopportunamente affacciatisi al mondo?
Risé individua l’anello spezzato del nostro tempo nella secolarizzazione del rapporto fra uomo e donna: «Il rapporto di amore tra uomo e donna è stato separato dal terzo che nella visione religiosa è la sua sorgente originaria: Dio e la sua natura amorosa». Nella eliminazione del Terzo viene meno la disponibilità al reciproco donarsi. Troncata l’originaria dipendenza creaturale, l’Uomo senza Padre è libero, scrive lo psicoanalista, ma solo: e guarda all’altro in un’ottica fortemente utilitaria. Cambiare sguardo, rivoltare alla radice questa cultura mortifera significa, per Risé, accettare di donarci: al figlio che nasce in contrapposizione al nostro potere sulla realtà; alla vita intesa come continua trasformazione che ci trascende e oltrepassa, invece che come sterile, impotente pretesa di possesso. Un libro profondo, che si inoltra dentro le radici della cultura che ci domina.
«Avvenire» del 25 giugno 2009

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