01 maggio 2009

Scuola italiana, quale identità?

Il malessere della società dietro la crisi di un’istituzione: dopo il j’accuse lanciato da Galli della Loggia parlano gli intellettuali
di Antonio Giuliano
Mancano ormai poche settimane all’inizio della ripresa scolastica, ma quest’anno più che mai, sembra proprio che la campanella suonerà rintocchi sinistri. Al capezzale della nostra società giace la scuola italiana, sprofondata da tante (forse troppe) riforme che non riformano o riformano male, da governi pronti più a tagliare piuttosto che a investire, da docenti insoddisfatti, da studenti che figurano nei bassifondi delle classifiche di rendimento internazionale. Il panorama è quello di un caotico cantiere senza fine, un’enorme tela di Penelope che procede per strappi e rattoppi.
L’ultimo grido di dolore si è levato ieri sulle colonne del Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia. Lo storico ne ha avute per tutti: «La scuola è lo specchio della profonda incertezza di coloro che a vario titolo guidano l’Italia o le danno voce, i governanti, gli apparati dello Stato, gli imprenditori, gli intellettuali, l’opinione pubblica - circa il senso e il rilievo del suo passato, circa i suoi veri bisogni attuali e quello che dovrebbe essere il suo domani». Una denuncia senza sconti ad un Paese che ha smarrito la propria storia.
«Ha perfettamente ragione ­ribadisce Paolo Simoncelli, ordinario di Storia moderna presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma ­. Semmai è una critica tardiva, la scuola è ormai in crisi da decenni. Non condivido però l’attribuzione delle responsabilità al processo di modernizzazione che ha investito l’Italia dagli anni ’60-’80. In realtà il decadimento è avvenuto al termine della Seconda Guerra Mondiale, quando gli organismi internazionali hanno finito per tagliare le radici nazionali a vantaggio di aspetti tecnico­economici.
È accaduto soprattutto in Italia e Germania, uscite sconfitte dal conflitto, a differenza per esempio della Francia. Da noi quell’evento ha segnato la fine della cultura come memoria collettiva». Ma secondo Simoncelli c’è un motivo ben più influente: « Già prima del ’68 la storiografia marxista ha cominciato a demonizzare l’unità d’Italia, ha svilito la scuola pensata da Giovanni Gentile che attribuiva un ruolo fondamentale all’insegnante visto come un vero missionario.
Oggi paghiamo una mancanza di vocazione e di formazione del corpo docente, specie di quegli insegnanti giovani arrivati in cattedra dopo nefaste riforme universitarie. C’è poco da meravigliarsi allora se oggi la scuola appare come una scatola vuota che non suscita più alcun interesse».
«Ma la colpa è soprattutto dei nostri governanti ­ribatte Luciano Corradini, ordinario di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre - . Anche se la politica è il riflesso della sfiducia generale che si respira in tutta la società.
Galli della Loggia dice che le materie sono troppe e si dovrebbe puntare tutto su letteratura e matematica. Però secondo me si dovrebbe finalmente privilegiare l’educazione civica, materia che ha goduto sempre di scarsa considerazione, senza un voto distinto e accorpata all’insegnamento della storia. Già nel 1958, l’allora ministro della Pubblica istruzione, Aldo Moro, sosteneva l’importanza dello studio della Costituzione per educare ai fondamenti della convivenza civile. In questa Carta sono espressi in maniera concreta quei valori antitetici a tutti gli autoritarismi della storia, di destra e di sinistra. Non basta leggere Machiavelli per alimentare il senso civico, tocca ai professori appassionare i ragazzi. Che cos’è la libertà si può spiegare nella scuola materna come al liceo. Certo oggi si insegna educazione ambientale, stradale... Ma non basta». Il problema è più vasto per Corradini: «Se oggi dilaga il disagio giovanile, non può farsene cura solo la scuola. I genitori molte volte si alleano con i figli, li difendono e mettono in discussione l’autorevolezza dei maestri. In famiglia poi non si dialoga più, c’è sempre più difficoltà a trasmettere certi valori». «Il senso di scoramento ­incalza il filosofo Dario Antiseri - dipende dalla mancanza di una visione generale della propria identità, concordo con Galli della Loggia. Nel tempo della globalizzazione è sempre più necessario riappropriarsi della propria storia. Anche il dialogo con gli altri, come insegnava Gadamer, può avvenire solo dal riconoscimento della propria identità. Un’identità non chiusa, ma aperta alla discussione. La verità è che abbiamo smarrito le idee fondanti della nostra tradizione, come il concetto cristiano di persona umana. C’è un’emergenza educativa che investe tutta la comunità, come più volte ha sottolineato la Chiesa italiana». Ma la ferita aperta della scuola viene da lontano.
«Purtroppo - lamenta Antiseri ­manca ancora un’effettiva libertà di scelta dell’insegnamento. Chi vuole entrare in una scuola non statale deve pagare due volte.
Penso allora che la soluzione sia un buono scuola per i cittadini in modo da favorire una sana competizione tra gli istituti. Così la competizione diventa la più alta forma di collaborazione. Questa è una battaglia per tutti non solo per i cattolici come già ammoniva Sturzo. Se poi vogliamo entrare nel merito dei contenuti, oggi c’è una scarsa conoscenza dell’italiano. È stato abolito il tema argomentativo, del 'riassunto' non c’è più traccia... Ma non si può dare addosso solo ai docenti.
Per esempio, non aveva forse ragione Popper che la tv è una cattiva maestra? È la società che non crede più in certi valori, manca il senso della vita... Siamo a corto di idee fondanti. Pensiamo ai disastri compiuti dalle ideologie nazifascista e marxista. Il potere delle idee è fondamentale, come faceva notare Einstein, per questo lo scienziato diceva che il compito di un insegnante era paragonabile a quello di un vero artista».
«Avvenire» del 22 agosto 2008

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